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Brasile Caschi Bianchi

La rinascita al di là del muro

In Brasile è nata e si è sviluppata una metodologia di reinserimento sociale per condannati diversa dal carcere, che si è poi diffusa in tutto il mondo e continua ad essere argomento di confronto e scontro in molti Paesi. Francesco, Casco Bianco in Brasile con Apg23, ci racconta e descrive cos’è un APAC, Associazione di Protezione e Assistenza ai Condannati.

Scritto da Cavicchioli Francesco, Casco Bianco Apg23

Un nuovo sguardo oltre il muro. Un progetto rivoluzionario. Lavori in corso sul meccanismo vecchio e arrugginito del carcere sotto censura. Il Brasile come precursore del reintegro nella società. Qui paura e odio sono parole cancellate e funzionalità ed economia sono l’unica strada possibile. L’Europa apre gli occhi e finanzia.

Le frasi sopra citate potrebbero aggiudicarsi la prima pagina di qualche importante testata giornalistica o la sigla di apertura di un qualche telegiornale. Purtroppo così non è. La cruda verità apre gli occhi alla menzogna e per questo non si pubblicizza molto. Gli astuti giocolieri della società sguazzano nell’apparente benessere di un sistema irrazionalmente confuso, basato su promesse non mantenute. La manipolazione di cuori fragili e la sterilizzazione di menti governabili ne sono la prova: sintomi preoccupanti di un mondo sempre più vicino all’implosione.
Uomini, esseri estremamente complessi che riescono a dividere un atomo ma quando si parla di pane hanno ancora qualche difficoltà, toccano il suolo di pianeti lontani ma ancora si fanno guerra l’un l’altro. A volte però, la ricchezza dell’essere umano sa essere intuitiva e rivoluzionaria. A volte c’è un cuore impavido, qualcuno che si lancia nel vuoto, qualcuno che innesca un qualcosa di più grande ed utile alla società. E sicuramente quel cuore impavido verrà seguito: un gregge segue sempre il suo pastore, nell’acume del suo cinismo così come nel bel mezzo di una rivoluzione.

Qui si parla di un prato pieno di fiori colorati, ognuno con un profumo diverso ma tutti uniti per creare una coreografia magnifica. Voglio parlarvi dell’Associazione di Protezione e Assistenza ai Condannati: APAC. Un piccolo grande prato verde con novità in fiore dove tutti insieme corrono scalzi verso il cielo azzurro della rinascita. Nasce nel 1972 in Brasile come associazione della società civile senza scopo di lucro. L’obiettivo è l’umanizzazione della pena privativa della libertà e la promozione dei diritti umani dei detenuti. La metodologia ideata ad opera del volontario Mario Ottoboni è incentrata sul reinserimento reale nella società per evitare un ritorno al crimine. Riconosciuta dalla legge brasiliana, questa metodologia è praticata in diciassette stati del Paese. L’APAC è anche un’alternativa di espiazione della pena che viene così scontata in centri di reintegro senza il coinvolgimento della polizia penitenziaria.

Si entra nell’APAC dopo aver trascorso un certo periodo nel carcere convenzionale, su disposizione del giudice di sorveglianza e previo impegno sottoscritto dal detenuto di rispettare le regole della struttura: mantenere un comportamento irreprensibile, svolgere i turni di lavoro, occuparsi personalmente della manutenzione del carcere e rispettare tempi e orari nei momenti di semi-libertà e poi di libertà piena, che implica la possibilità di trascorrere il week-end fuori.Molti detenuti che potrebbero entrare nel programma rifiutano, perché sanno che nelle APAC la droga non è né reperibile, né concessa, né tollerata, mentre invece nelle altre carceri sanno di potersela procurare facilmente.

In una di queste strutture è passato un pluriomicida con cinquant’anni di pena da scontare. Gli hanno chiesto: “Nel carcere hai già tentato di evadere dodici volte, qui sarebbe anche più facile, perché non ci provi più?”. “Perché non si fugge dall’amore” rispose.*

Fu mio padre a consigliarmi di conoscere questa splendida realtà, un responsabile brasiliano di APAC venne a trovarci nella Casa Famiglia “San Francesco”. Circa dieci anni fa in Italia non esistevano metodologie simili a quella portata avanti da APAC. Ora l’Europa sta finanziando la costruzione di centri come questo in Germania e nello stivale più bello del mondo. Il Canada e gli Stati Uniti stanno abbozzando i primi progetti. Bolivia, Cile, Argentina, Costa Rica e Paraguay sono attive sul campo già da qualche anno. Luis Guillermo Solìs, attuale Presidente costaricano, ha annunciato che tutte le carceri presenti sul suo territorio dovranno trasformarsi in APAC. Questa realtà si sta diffondendo a macchia d’olio in un numero di Paesi sempre più grande. In Brasile sono presenti quarantotto APAC attivi e cento in fase di completamento. Lo stato più coinvolto è il Minas Gerais, la struttura più antica ha sede in Itaùna, cittadina di centomila anime e fulcro della questione, dove a breve verrà costruito un centro internazionale di studio della metodologia APAC, di grande utilità anche per i Paesi esteri interessati.
Io stesso ho visitato l’APAC di Itaùna. Qui la pratica è gestita da loro, le “vittime”, gli angeli neri della società. Qui i condannati vengono chiamati per nome, i numeri lasciati alle macchine senz’anima. Qui i condannati hanno un proprio letto dove riposare i pensieri della giornata trascorsa e hanno a disposizione un piatto caldo e di prima qualità che possono cucinare loro stessi, hanno spazi ricreativi dove passare il tempo libero, gestiscono le uscite da una cassa comune e hanno uno stipendio mensile equo e giusto rispetto alle ore di lavoro svolte. Qui i condannati tutte le domeniche pranzano assieme alla propria famiglia e qui possono contare su un team di specialisti in campo medico, giuridico e psicologico.

Lentamente l’egoismo lascia spazio all’altruismo e i condannati non scappano, ma rimangono perché sono rispettati e loro stessi provano rispetto per sé stessi. La recidiva al crimine per quanto riguarda gli utenti dei centri APAC si è abbassata nel tempo dell’85%, rispetto all’8% dei condannati che invece vengono inseriti nelle carceri, ed il costo delle APAC è un quinto rispetto a quello speso per l’accoglienza ed il percorso nelle carceri.

Qui sembra tutto surreale ma in realtà è più reale dell’impressionismo parigino di fine Ottocento.

 

*Fonte www.avsi.org

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