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Caschi Bianchi Cile

“Welcome to Jamrock”

La Pintana si raggiunge in 40 minuti di autobus dal centro di Santiago del Cile. Un viaggio in cui, fermata dopo fermata, si lasciano indietro grattacieli imponenti e ristoranti sfarzosi e ci si tuffa nelle contraddizioni di uno sviluppo iniquo. Del quale prima o poi sarà necessario individuare i responsabili.

Scritto da Michele Casalboni, CB Apg23 a Santiago del Cile

“Dentro questo ciclo modificato geneticamente, che vive la mia gente,
 in assoluta sincronia col mondo adiacente,
ma sempre fuori tempo, guardare e non toccare
 però desiderate, desiderate pure.”
Cattivi Guagliuni – 99 Posse


Santiago de Chile
è una delle megalopoli più sviluppate del Sud America. E come in ogni grande città, non manca davvero niente. Tuttavia a pochi chilometri dai grattacieli, dalle catene di fast food e dai negozi glamour delle più importanti marche di abbigliamento, ci sono i quartieri più difficili, quelli dove manca quasi tutto, a cominciare dal diritto ad una vita dignitosa. È in questi luoghi, dove è sempre e solo il profitto a dettare modalità e tempi di qualsiasi sviluppo sociale, che l’attuale sistema economico mostra le sue più “infami” contraddizioni. Viviamo in un’epoca infatti nella quale la maggior parte dei poveri su questa terra non si trova più nelle aree rurali, ma abita fianco a fianco ai ceti medi e alti nelle grandi aree urbane.

Solamente il raggiungere con i mezzi pubblici i quartieri più difficili di Santiago è un’esperienza che aiuta a riflettere su questa vile diseguaglianza. Si può per esempio prendere la metropolitana. Punto di partenza Plaza Egaña: una delle zone più in di Santiago, dove le multinazionali della grande distribuzione hanno da poco costruito l’ennesima “cattedrale” del consumo, un mega mall da 5 piani e 150 negozi. Santiago è letteralmente invasa da questo tipo di edifici. Dopo poche fermate, scendendo a Santa Rosa, lo scenario che ci si presenta davanti è surrealmente capovolto: degrado, immondizia, baracche. Stiamo parlando di venti minuti di metropolitana. Poi c’è un modo più graduale di immergersi nella periferia di Santiago, prendendo l’autobus. In questo modo si percorre avenida Americo Vespucio (la grande circonvallazione di Santiago) con il centro città che rimane sulla destra e il magico scenario della cordigliera andina sulla sinistra. Lentamente, chilometro dopo chilometro, fermata dopo fermata, i prati verdi impeccabili dei parchi, gli imponenti grattacieli, i ristoranti sfarzosi, vengono gradualmente rimpiazzati da abbandono e incuria.

Dopo circa quaranta minuti siamo infatti giunti a La Pintana, periferia sud, una delle 37 comunas che formano la regione metropolitana del Gran Santiago. Una popolazione di 200.000 abitanti. La Pintana è in gergo chiamata poblaciòn o campamento, l’equivalente di una favela brasiliana, di un rancho venezuelano, di una villa miseria argentina. Il 50% della popolazione ha meno di 19 anni, l’indice di natalità infatti è tra i più alti di tutta la regione, altrettanto lo è quello di mortalità. Nel 2005 in un documento ufficiale del governoche stabiliva l’Indice de prioridad social, con lo scopo di suggerire dove, a causa degli scarsi livelli di educazione, salute e redditi, l’implementazione dei programmi sociali doveva essere più celere, La Pintana si collocava al primo posto della regione, alla voce “Alta Prioridad”. Sempre secondo stime di organi istituzionali, circa il 30% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, divisi tra un 6% circa di indigenti gravi e un 23% circa di poveri non indigenti.

Molti dei servizi presenti in tutti gli altri quartieri della città, sono invece assenti in questo distretto. Nessun imprenditore vuole investire a La Pintana. Anche a livello lavorativo si dice che i suoi abitanti siano molto discriminati nel resto della città, con posti di lavoro che vengono negati solo perché si proviene da qui. Ci sono tre consultori (una sorta di poliambulatori italiani) ma manca un ospedale. Le marche della grande distribuzione come Tottus, Ripley e Lider hanno deciso solo recentemente di aprire un centro commerciale. Piccola curiosità, che però ci aiuta a capire come “girano” le cose qui: all’interno del centro non si vendono coltelli da cucina, per scongiurare rapine “spontanee”. I benzinai non lavorano come ovunque tra auto e gente, ma chiusi in un gabbiotto protetto. Anche tanti piccoli commercianti, come farmacie, bazar e alimentari lavorano al riparo dietro inferriate.

Il 18 marzo scorso, davanti ad un asilo, c’è stata una sparatoria tra bande rivale, nella quale sono rimasti feriti cinque bambini. La Pintana è infatti territorio di narcotraffico. Le droghe più vendute sono pasta base, cocaina e marijuana. La pasta base è in assoluto la più diffusa per via del suo bassissimo costo. Si tratta di un mix di cocaina (in realtà pochissima), acido solforico e cherosene. Gli effetti che l’abuso di questa sostanza provoca sono devastanti. Così come sono devastanti per la vita sociale della comuna gli effetti dell’abuso di alcol. Quest’ultimo un vero e proprio flagello della società cilena.

A facilitare la diffusione di una “cultura di strada” tra la popolazione più giovane, è la quasi totale mancanza di spazi di aggregazione e centri per il protagonismo giovanile, come club sportivi (quelli presenti sono fuori dalla portata del portafogli delle famiglie), biblioteche, associazioni culturali e via dicendo. La partecipazione giovanile è pressoché assente, mancano attività doposcuola che possano fornire un’alternativa stimolante ai pomeriggi in strada. Col tempo si è anche creata una sorta di identità specifica de La Pintana, basata su violenza e consumo di droga, nella quale i più giovani si riconoscono con orgoglio. L’Opd (Ufficio per la protezione dei diritti dell’infanzia) della comuna ha stimato che almeno il 40% dei giovani abbia subito una violenza fisica, mentre la percentuale si alza al 60% se si considerano anche forme di violenza psicologica o negligenza genitoriale. L’abuso sessuale è di gran lunga il reato più diffuso all’interno delle mura domestiche di questo distretto. Questo è probabilmente dovuto alla forte connotazione machista della società cilena ma non solo: una adolescente su quattro rimane incinta e il fenomeno delle ragazze madri è all’ordine del giorno (nonostante questo non esiste un servizio di vendita di preservativi durante la notte). I nuclei famigliari sono molto numerosi. Spesso la madre, che non riesce da sola a crescere tanti figli, vive con un uomo che è il padre solo di alcuni. A volte i bambini di una stessa famiglia possono essere figli di tre padri diversi. Molti dei casi di abuso sessuale vedono proprio il padrastro (patrigno) nel ruolo di carnefice.

Per queste ragioni a La Pintana operiamo prima di tutto cercando di promuovere i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Negli spazi del PPC (Programa de Prevenciòn Comunitaria) Acuarela, gestito dalla Comunità Papa Giovanni XXIII e co-finanziato dal SENAME (Servicio Nacional de Menores), si organizzano attività culturali: danza, teatro, musica, sport, radio etc. Questi laboratori non sono fini a sé stessi, bensì un mezzo atto a rendere consapevoli i ragazzi dei diritti che gli spettano come cittadini cileni e del mondo: ad essere ascoltati, a partecipare, a esprimere le proprie opinioni senza subire discriminazioni, a non essere maltrattati, ad una alimentazione sana, ad un’educazione di qualità, alle cure mediche, alla protezione dagli abusi degli adulti. Si lavora a stretto contatto con psicologi e assistenti sociali e si collabora con altre “officine” dei diritti della zona. Si organizzano altresì assemblee con le famiglie, durante le quali si ascoltano le istanze e i pareri dei genitori de La Pintana. Non si opera però solo negli spazi del centro, situato dietro la piazza principale. Si cerca invece di vivere la comunità nel senso più ampio possibile. Prima di accogliere un bambino o un adolescente infatti, ci si reca nella casa, per conoscere la sua realtà, si stilano poi dei rapporti, in modo che il cammino di accompagnamento sia il più lineare, costruttivo e sostenibile possibile. Ci si reca inoltre nei quartieri più lontani per svolgere attività “sul territorio”. Ovvero si cerca di sfruttare insieme ai ragazzi tutti quegli spazi pubblici come piazze, campi sportivi, parchi giochi, che gli spetterebbero di diritto e invece gli sono stati “scippati” dal degrado, dalla violenza, dal bivacco di spacciatori e alcolizzati.

Spesso quando si parla di povertà, mancanza di servizi primari, fame e disagio si pensa quasi automaticamente ad un villaggio sperduto dell’Africa. L’immagine che ci viene in mente  è quella di un gruppo di bambini neri con la pancia gonfia e circondati da mosche. È in effetti difficile accettare che a pochi chilometri di distanza da così tanta ricchezza ci possa essere così tanta povertà. È difficile accettare che nella stessa città vivano persone che “consumano male” sprecando il superfluo e persone che ogni giorno non abbiano niente da consumare. Le favole sullo sviluppo della civiltà occidentale nascondono tutto questo, con dati economici come il PIL che non tengono in considerazione un indicatore fondamentale: la distribuzione della ricchezza. Con un lavoro minuzioso nei quartieri cerchiamo di lavorare insieme alla cittadinanza per rimuovere tutti insieme le cause del conflitto e della marginalità. Prima o poi però sarà necessario individuare i responsabili.

“Ci vuole una motivazione forte, credere che si può dare un contributo, anche se non si può rivoluzionare il mondo”.

 

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