Albania Caschi Bianchi

La relazione con i beneficiari: una risposta ai bisogni con lo sguardo al cambiamento

L’intervento di Valentina Rodofili.

Scritto da Valentina Rodofili, Casco Bianco Oltre le vendette

La traccia dell’intervento

I corpi civili di pace rappresentano una metodologia di intervento nel conflitto diversa e pacifica, nonché economica rispetto a quelle sperimentate fino ad ora dagli stati. Gli strumenti a loro disposizione non sono armi o strategie di guerra, bensì essi stessi. Potremmo dire che lo strumento del corpo civile di pace è la sua persona come esempio dei principi fondamento della pace. La sua stessa presenza rappresenta la possibilità di lasciare il proprio paese per un periodo medio lungo, al fine di dedicarsi a risolvere problemi altrui.

Quotidianamente l’impegno e il lavoro del corpo civile di pace è quello di costruire delle relazioni basate sui sentimenti di umana convivenza pacifica e civile. Si attiene ad un tenore di vita modesto e rispettoso della cultura ospitante, ma anche dell’insieme di norme del Codice dei diritti fondamentali dell’uomo 1948.

La relazione è lo strumento più utilizzato durante quest’anno da noi caschi bianchi nell’adempiere a questo progetto. Ci ha permesso di essere dentro  i risultati del nostro intervento in tempo reale, abbiamo osservato degli effetti positivi sui beneficiari, ma anche di quelli negativi, ovvero il dolore umano quando ci siamo trovati difronte al lutto delle persone coinvolte nella relazione.

Abbiamo avuto modo di impostare una relazione fondata sulla fiducia e il rispetto reciproco grazie all’introduzione degli operatori locali, che da lungo periodo si occupano del fenomeno delle vendette di sangue e conoscono le famiglie in questione da più tempo. Inizialmente abbiamo frequentato le famiglie coinvolte in questi conflitti inter-famigliari facendo loro visita quasi quotidianamente, portato alimenti e medicine. Siamo poi passati a coinvolgere i componenti della famiglia in delle attività specifiche quali: gruppo donne, gruppo giovani e gruppo uomini – orientamento al lavoro – stimoli positivi – possibilità di uscire da casa in sicurezza. La partecipazione a queste attività è dipesa dal tipo di relazione e fiducia con noi operatori / caschi bianchi. In particolare l’evoluzione dell’attività di teatro già esistente al nostro arrivo in Albania, in un gruppo giovani è stata fondamentale nella crescita della relazione di fiducia con i genitori dei ragazzi. I loro feedback positivi riportati in famiglia, sono stati utili affinché durante le visite le argomentazioni di dialogo diventassero sempre più impegnate e incentrate sulla condivisione della loro storia di conflitto, abbiamo notato un allungarsi temporale della visita e il tono della conversazione diveniva via via sempre più confidenziale e sincero. Questo ha fatto sì che anche noi potessimo parlare più liberamente rispetto alle briglie culturali che inizialmente sancivano il tono delle conversazioni. Ad esempio potevamo riportare delle nostre esperienze di vita senza la paura di venire giudicati negativamente, incidendo così sulla credibilità della nostra azione futura ma anche di quella degli operatori locali. Abbiamo così avuto modo di portare degli esempi di vita lontani dalla loro realtà ma stimolanti, abbiamo potuto esprimere dei giudizi sulla situazione sociale albanese senza essere considerati degli estranei, ma soprattutto siamo riusciti ad entrare in sintonia guadagnandoci la loro fiducia, e poi il consenso alla partecipazione alle nostre attività. Attività che abbiamo pianificato a partire dai loro bisogni e necessità. Inoltre la relazione con i piu giovani è stata fondamentale per capire quali fossero le dinamiche intergenerazionali per cui una tradizione antica e violenta come la gjakmarrja fosse oggi tramandata dai giovani, fino al compimento dell’omicidio per vendetta. Così siamo riusciti a proporre delle soluzioni alternative, ma soprattutto a dar loro coraggio per esprimere la propria personalità e opinione rispetto al fenomeno anche in famiglia. Sono state le loro confidenze che ci hanno aiutato a comprendere il concetto di onore comune a tutte le generazioni, una comprensione che ha portato allo stimolo verso l’affermazione del sé di questi ragazzi che speriamo continui e li porti ad uscire dal gioco di ruoli intriseco alla tradizione della gjakmarrja.

Abbiamo fatto breccia così nel futuro della famiglia, ma il cambiamento più importante è stato il coinvolgimento delle madri e delle sorelle delle famiglie che seguivamo nel gruppo donne.

Nello specifico questo gruppo ha l’obbiettivo di far nascere nelle donne uno spirito di autodeterminazione rispetto alla loro condizione nella famiglia e nella società, e lo strumento che abbiamo utilizzato è stato il riportare delle storie di donne forti che hanno scelto la via del perdono e della riconciliazione. Abbiamo raccontato le storie delle nostre madri o nonne, di zie ma anche di donne di altre parti del mondo, che l’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ha conosciuto durante l’impegno che da 20 anni porta avanti nel mondo. È così le donne coinvolte nel gruppo si sono messe in gioco un po’ alla volta raccontando la loro storia di vendetta, le frustrazioni che ne comporta aprendo un dibattito sul ruolo che la donna potrebbe avere se si distaccasse da quel ruolo che culturalmente la vuole impegnata solo nei lavori manuali. È stato durante un incontro del gruppo donne che le madri delle famiglie che abbiamo seguito per un anno si sono confrontate e scontrate sulla propria esperienza di vita, e su quelle che potrebbero essere le azioni da intraprendere per essere promotrici di un cambiamento. Successivamente le stesse donne hanno preso posizione apertamente per richiedere quelli che sono i loro diritti fondamentali, di fronte alle istituzioni ma anche in famiglia. Riporto l’esempio di Shkurte che ha partecipato ad un sit in per richiedere la casa popolare, ed ha anche coinvolto il marito in un azione di richiesta di intervento presso l’Associazione nazionale albanese dei riconciliatori tradizionali. Anche Lena in occasione dei campi estivi organizzati dagli Ambasciatori di pace – Caritas (partner nel progetto) ha riferito al cognato, per tradizione quando va a mancare il capo famiglia – marito prende le decisioni sui nipoti e sull’organizzazione della famiglia, che sarebbe stata lei a decidere per il bene della figlia accordandole il permesso a partecipare ai campi estivi.

Infine la relazione non sarebbe stata completa senza il coinvolgimento degli uomini delle famiglie, così grazie all’azione del casco bianco operante presso la sede Focsiv -LVIA sono state organizzate delle giornate formative sullo sviluppo rurale. Queste giornate hanno permesso agli uomini di lasciare la casa in sicurezza per una giornata, ma soprattutto di avere degli esempi di vita pacifica nel loro paese. Abbiamo anche avuto modo di verificare la nostra relazione cementandola in un rapporto duraturo basato su sentimenti di pace e di voglia di riscatto.

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