• Caschi Bianchi apg23, 2010

Albania Caschi Bianchi

Il rientro – Albania

Le quotidianità del servizio sono lo stimolo per riflettere sul mandato del Casco Bianco

Scritto da Valentina Viero (Casco Bianco a Scutari, Albania)

Mi chiedo quale sia la prima cosa che deve fare un Casco Bianco. Chi siamo noi per entrare in casa d’altri e pensare di avere risposte per problemi dei quali ignoriamo le cause profonde? Rappresentiamo l’alternativa all’esercito: come corpo nonviolento di pace cosa ci differenzia da esso, a parte il rifiuto delle armi? Quando arriva in un posto, il soldato sa già quel che deve fare, non ha dubbi ma ordini, noi no. Il soldato non si ferma ad ascoltare e a pensare: a noi è chiesto di condividere. Condividere secondo me significa vivere con le persone, nel quotidiano, lasciare a casa le nostre abitudini e provare a cambiare punto di vista, e ascoltare. A volte è tutto quello che ci chiedono le persone che incontriamo, anche senza parlare.

Per una ragazzina di quattordici anni, nata e cresciuta sulle montagne, con una famiglia di stampo patriarcale, in una valle dove nemmeno la polizia arriva, per lei avermi due giorni in casa, insegnarmi a mungere le pecore o a raccogliere le erbe nell’orto, è una liberazione. Per lei significa dire “io esisto”, e non è poco. Per me significa dire “ora sono a conoscenza della tua situazione e anche se non posso fare quasi nulla, una parte del tuo dolore in questi due giorni l’ho messa sulle mie spalle.”

Ornella è una ragazza di vent’anni segregata in casa da otto, perché la sua famiglia vive “sotto vendetta di sangue” secondo l’antico codice di legge del Kanun, ma soprattutto per volere di un padre che esercita su di lei tutto il potere di tradizioni che concepiscono la donna come un “otre, fatta per essere riempita e sopportare” (Kanun di Lek Dukagjini, libro terzo). La sua valvola di sfogo sono le nostre visite, in cui si mette a piangere raccontandoci quanto le sarebbe piaciuto fare la parrucchiera.

In Albania i paradossi, le contraddizioni e le violenze sono all’ordine del giorno, espliciti e nascosti. Per capire la realtà, bisogna essere capaci di leggere il sottotesto, ovvero tutti quegli indizi disseminati nella lingua, nelle mezze frasi, nelle tradizioni, nell’ambiente e nei comportamenti. Se sei ospite di una famiglia, stai sicuro ti offrirà da bere del caffè e della  grappa, rakjia: il bicchiere lo riempiranno fino a farne uscire un po’. Come a dire: posso permettermi di sprecare la rakjia perché ne ho in abbondanza, anche quando è palese che non è vero… E’ un popolo che si regge sull’orgoglio, sull’onore, sull’apparenza, ma anche sul rispetto per l’ospite e sul sacrificio per l’altro: valori che a volte fanno a pugni tra loro. Non per nulla l’Albania è il paese dei paradossi. Di esempi del genere ce ne sono a decine, ma bisogna avere l’umiltà di fermarsi ad ascoltare liberando la testa dai pregiudizi.

Solo in questo modo i valori del Casco Bianco avranno modo di esprimersi e confrontarsi con il diverso. Per creare una rete di solidarietà e d’informazione rispetto al disagio sociale, per essere cittadini/e attivi/e, per sviluppare una vita comunitaria, per vivere un momento di contatto in un mondo di esclusione ed essere voce di chi non ha voce, per fare tutto questo è necessario camminare dentro la nuova realtà che ci ospita.
Inutile dire che questo viaggio fisico, ma soprattutto interiore, prima di cambiare le ingiustizie cambierà noi stessi, ma questa è un’esperienza che non voglio raccontarvi per lasciarvi liberi di provare.

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