• Cb Apg23, 2010

Caschi Bianchi Zambia

Lo spirito della Namwandwe Basic School: intervista a Rita

Alla scoperta della vita, delle sensazioni e dei pensieri di un’insegnante di una scuola governativa di Mansa, Zambia

Scritto da Elisa Pieralisi, Casco Bianco a Mansa

Una faccia sorridente e un temperamento invidiabile. Rita, un’insegnante di 29 anni con due bambini di 2 e 1 anno e mezzo. Dopo alcune attività svolte insieme ai suoi alunni rimango colpita dalla gioia con cui tratta i suoi studenti e dall’amore con cui li guarda.

Sono più di 60 nella stessa aula e con un’età compresa tra i 5 e gli 8 anni, eppure ad ogni suo richiamo il silenzio torna sempre a fare da padrone.

Sono troppo curiosa della sua storia e di com’è essere un’insegnante in una scuola di un villaggio del Luapula Province.

Rita lavora con i bambini da ormai 3 anni e mi rivela che ciò che l’ha spinta a intraprendere questo mestiere è proprio la voglia di scatenarsi, di fare chiasso, di saltare per ore e di riuscire a impressionare i bambini con piccoli giochetti.

“Adoro fare casino e i bambini sono ottimi compagni di divertimento! Non credo riuscirò a fare questo lavoro molto a lungo, ma che problema c’è, quando non avrò più le forze per scatenarmi… cambierò mestiere” afferma con un sorriso.

Quasi mi dispiace disturbare quella felicità contagiosa ma, pensando agli insegnanti italiani che spendono giornate a lamentarsi, non posso evitare la domanda: “Ma come ci si sente a insegnare a bambini che vivono situazioni così difficili in casa e con tutti i loro amici?”. Il suo sguardo non cambia, il sorriso non abbandona il suo volto ma si trasforma in un’espressione quasi malinconica e, senza pensarci troppo, risponde su due piedi: “Sappiamo tutti quali sono le loro situazioni economiche e familiari e cerchiamo di aiutarli in tutti i modi con i pochi soldi che riusciamo a risparmiare, ma credo che la cosa più importante sia far dimenticare loro tutto, almeno finché stanno a scuola, farli divertire e soprattutto insegnare loro qualcosa di utile.”

Mentre Rita mi risponde, la mia attenzione cade per un attimo su un gruppo di bambini seduti a terra su un grande tappeto rosso pieno di polvere. Stanno ancora annusando alcuni fiori di lavanda che avevamo usato poco prima per presentare noi e l’Italia. Sorrido loro e, rispondendomi con un sorriso spaventato, si imbarazzano e scappano in un angolo dell’aula.

Le domande arrivano come un treno nella mia testa, ma cerco di non sottoporla al terzo grado.

“Ma tra tutti i problemi che riscontri, quale secondo te rappresenta l’ostacolo maggiore tra te e loro?” chiedo.

È perplessa e non riesce a darmi subito una risposta. Ci pensa alcuni secondi e dice: “ Prova a pensare… se in una classe ci sono più di 30 alunni e i libri a nostra disposizione sono 3, al massimo 4… Riusciresti tu ad attirare l’attenzione di tutti loro, ma soprattutto a far comprendere a ciascuno ciò che stai facendo?”

Nonostante ciò che abbia appena detto mi lasci un senso di amarezza, e forse anche di ingiustizia, vengo di nuovo catturata dalla sua risata allegra e piena di vita.

Rivolge un attimo lo sguardo alla sua classe e dopo aver costatato che è ancora tutto sotto controllo aggiunge quasi sotto voce: “Il tasso di HIV/AIDS in questa zona è molto alto e sono pochissimi i ragazzini o bambini che decidono di farsi il test per controllare il loro status. Nella mia classe sono solamente 4 i sieropositivi accertati, ma moltissimi dei bambini sono malati per motivi vari, primo tra tutti l’HIV. Si nascondono per paura di essere presi in giro o emarginati.”

Il suo volto, la sua espressione gioviale e la sua iperattività sembrano un po’ svanire. Senza che io ponga domande, inizia quasi a usarmi come valvola di sfogo e tutto quello che posso fare è ascoltare attonita.

“Noi insegnanti lottiamo ogni giorno contro la malnutrizione. I bambini non hanno nulla da mangiare a casa, arrivano a scuola la mattina presto affamati, e non mangeranno fino a sera. Alcuni di loro, i più fortunati, riescono ad assicurarsi due pasti, ma tutto quello che mangiano è Nshima di Cassava* e foglie delle pianta di Cassava, tutti i giorni, per tutto l’anno! Ciò che mi preoccupa di più è il futuro dei nostri bimbi. Nella classi sono davvero pochi i ragazzini brillanti, attenti e che riescono a seguire le lezioni in modo propositivo. Molti si distraggono, si addormentano…”

Si ferma. Mi guarda con occhi comprensivi, forse si accorge che le sue parole non mi lasciano indifferente. Tutto quello che riesco a dire è: “Credi che ci sia un modo per aiutarli?”.

Non esita a dirmi di sì, ma una vera proposta arriva solo dopo un po’ di attesa.

“Uno dei pochi progetti che potrebbe avere un futuro in questo territorio è l’agricoltura. Tantissime famiglie, anche poverissime, possiedono un appezzamento di terra ma spesso non riescono a coltivarlo per mancanza di fertilizzante o di sementi. Molto potrebbe essere fatto.”

Rimango un po’ sollevata dalla sua ultima frase ma vedo che il tempo stringe e voglio farle un’ultima domanda.

“Ti piace il tuo lavoro?”

Ride. “Non lo cambierei con nessun altro al mondo!”

Si alza e raduna tutti i bambini al centro dell’aula.

L’ultima immagine che ho di Rita è lei, scalza, in mezzo a tanti piccoli gnomi neri che salta e balla con loro.

È il loro modo di salutarmi.

Note:

* L’Nshima è il piatto base dell’alimentazione zambiana. E’ una polenta fatta di farina e acqua.
La cassava è un tubero largamente coltivato in tutto lo Zambia, a bassi contenuti energetici.

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