Caschi Bianchi Zambia

Risorse della foresta ed economia sostenibile: un progetto per la vita

L’esperienza in Zambia in un progetto ambientale del CELIM diventa l’occasione per riflettere sul Paese, sulle risorse di questa terra e sulla gente…per comprendere come piantare dei semi sia di importanza fondamentale.

Scritto da Carlotta Caroli CB Focsiv 2009

Contribuire al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione del distretto di Mongu che riceve sostentamento dall’utilizzo delle risorse naturali della foresta: è questo uno degli obiettivi del progetto in corso nella western province. E cercare di arginare in qualche modo il degrado delle foreste esasperate da tagli scriteriati ed asfissianti a cui sono sottoposte.

Proteggere l’ambiente, dunque, insegnare a rispettarlo, o, almeno, a conoscerlo per gestirlo in modo sostenibile, affinché le risorse siano amministrate meglio e conservate meglio, così che ci possa essere anche un ritorno economico che qui, come d’altra parte ovunque, è essenziale. Alberi, piante, vegetazione: è scoraggiante vedere tutto raso al suolo, tutto ciò che è cresciuto per anni, secoli in certi casi, che per cifre a dir poco irrisorie sarà venduto nella capitale, punto di smercio e di guadagno dei grandi compratori che rivenderanno il legno a prezzi smisurati. Ma nel west sì, lì sì che si fanno gli affari. Pensa che un tronco di 200 anni costa appena 20 euro. Rosewood, teak. Legni duri, pregiati.

Il progetto è iniziato ad agosto 2009 e finora gli sforzi si sono concentrati sull’allestimento e la gestione dei vivai di alberi indigeni e di jatropha; sulla selezione dei beneficiari e sulla loro formazione attraverso workshop e lezioni pratiche, sull’individuazione delle aree da riforestare e su quelle da destinare alla coltivazione di jatropha. E’ stata selezionata l’area dove potrà essere raccolto il vetiver che verrà impiegato per la realizzazione dei viali tagliafuoco, che serviranno a contenere il problema degli incendi che provoca enormi disastri durante la stagione secca appena iniziata. Tra le attività che partiranno a breve una campagna di sensibilizzazione nelle scuole con la distribuzione di dispense appropriate che sono in corso di valutazione da parte del Ministero dell’istruzione zambiano. Sempre nell’ambito della sensibilizzazione sono giunti al termine i momenti di discussione a Radio Liseli, stazione radio locale che trasmette sia in inglese che in lingua lozi. E questa della lingua è una questione fondamentale, perché, per quanto sulla carta la lingua ufficiale sia l’inglese, molto spesso ci si trova in situazioni in cui bisogna trovare tecniche alternative per esprimere il proprio punto di vista, così come per capire quello degli altri. Ma questa della comunicazione è un’altra storia. Che merita più di un capitolo di un casco bianco. E sottolineo bianco.

Quello appena trascorso è stato un periodo molto intenso ed il tempo ha dimostrato per l’ennesima volta di farsi desiderare più di un bagno in acqua salata, più di una vasca di shopping con mia sorella e anche più di una mozzarella di Cioffi dopo sei mesi di astinenza. La stagione delle piogge si è conclusa da poco più di un mese e l’ultimo periodo prima che l’umidità afosa lasciasse il posto alle tormente di sabbia, è stato impiegato per trasferire le piante dai vivai alle zone di destinazione. E’ stata una fase delicata in cui non erano ammessi ritardi, visto che non si poteva rischiare che le piantine fossero trapiantate troppo tardi e che le loro radici ancora tenere non si agganciassero saldamente al suolo per resistere ai mesi di siccità. Per questo primo anno sono stati piantati 4.000 alberi esotici in un’area adiacente al dipartimento forestale di Mongu; nella foresta di Likonge – area estremamente impoverita e annientata da incendi e dai tagli per il prezioso legname, sono stati messi a dimora 7.000 alberi indigeni che riforesteranno un km2 di superficie.

Ma non è tutto: c’è la jatropha. Uno dei punti cardine del progetto che coinvolge le donne dell’area di Mukangu, villaggio in cui il CeLIM aveva dato il via tre anni fa ad un progetto pilota che aveva come protagonista proprio la jatropha. La scelta non è casuale, si tratta de “l’oro verde del deserto”, perché è una pianta che ha caratteristiche che si prestano bene anche ai terreni più impervi di rocce o sabbia, non ha bisogno di particolari cure, né di particolari quantità di acqua, almeno è così una volta che la coltivazione è stata ben avviata.  E’ un arbusto perenne, dai semi del quale si estrae un olio che è usato per produrre saponi, detergenti e il mitico biodiesel. Inoltre i residui dei semi sono un fertilizzante, mentre le radici proteggono il terreno. Insomma, ci si può fare di tutto, tranne mangiarla. Beneficiarie delle 25.000 piante di jatropha – distribuite al loro domicilio da un’instancabile coppia di buoi e comunque dopo una serie di seminari per insegnare loro come gestire la coltivazione – sono state le instancabili “donne africane”, in particolare quelle dell’area di Mukangu, che, dalla mattina alla sera, si fanno in quattro per il sostentamento della famiglia. Mettere la donna al centro di un progetto è una sfida, perché significa darle un’opportunità che, probabilmente le capiterà ben poche altre volte nella vita. Significa darle la possibilità di scegliere come impiegare le sue energie e la creatività, oltre che con l’agricoltura e con la pesca che sono le uniche attività praticate sul territorio. Quando la coltivazione sarà ben impostata, ed in seguito ad una serie di corsi di formazione sulla raccolta e sulla lavorazione dei frutti di jatropha – come il corso di saponificazione che si terrà nel mese di agosto e sarà condotto da un’esperta proveniente dall’Università della Tuscia – sarà creato un impianto di estrazione dell’olio dai frutti, cui seguirà l’avviamento e la gestione in forma cooperativa dell’impianto e della commercializzazione dell’olio. Attività generatrici di reddito, insomma, che garantiranno alle donne novità, conoscenze e reddito. Cambiamento forse. O forse no. Si fa fatica ad immaginare quanto il presente possa modificare il futuro, quanto e se quello che a te costa tanto sudore avrà mai i suoi frutti. Ma se i semi non provi a piantarli, beh, sognati di veder spuntare le zucchine. O il basilico, la coerenza, la gioia. E sognati pure la mozzarella.

Mi chiedo che cosa cambierà qui dove la vita sembra ferma alla preistoria. Mi chiedo se l’olio di jatropha rifornirà quelle poche auto che si vedono in giro e prenderà mai il posto della benzina. Mi chiedo se i bambini si divertiranno ancora a vedere i mukwa lungo la piana dello Zambesi. Mi chiedo se gli zambiani smetteranno di vendere ai paesi limitrofi più energia elettrica di quella che consumino. Mi chiedo anche perché mi faccio tutte queste domande se non se le fanno loro. Cambiamenti e miracoli.

L’uomo bianco che arriva e fa. Cambia e vuole un riscontro tangibile. Ora. Cambiamenti e miracoli.

Come sono gli zambiani? Il brutto è non dicono mai di no, quindi le loro risposte spesso ti portano su piste inesplorate e incomprensibili, a porti domande a cui non saprai rispondere. Il bello degli zambiani è che non dicono mai di no ed è da quello spiraglio di probabilità che quel non-no diventi che trovi l’illuminazione per uscire incolume da quel groviglio di dubbi che ti si erano presentati nella circostanza precedente. Come sono gli zambiani? Sono pigri, alcuni. Alcuni instancabili. Ci sono quelli che chiedono in continuazione e chi non lo fa mai. Ci sono quelli di cui ti puoi fidare e quelli di cui non puoi avere la certezza. Approssimativi alcuni. Altri no.E’ una catena di reazioni. Forse i miracoli succedono davvero, ma se non ci credi non stupirti che non ti vengano a bussare alla porta.

E’ sempre la stessa storia, la stessa storia degli esseri umani che si ripete….

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