Caschi Bianchi Tanzania

Noi, stranieri

Per rendersi conto realmente di cosa significhi essere straniero bisognerebbe indossare i suoi panni.

Scritto da Chiara Avezzano

Gli sguardi delle persone possono essere davvero pesanti. Credo abbiano il potere di ferire più delle parole, e fanno capire bene il pensiero che forse in realtà vorrebbero nascondere.

Gli sguardi di certe persone, qui ad Iringa, a me danno fastidio.

Mi da fastidio quando siedo vicino ad un bambino di casa e la gente passa accanto a noi e prima lancia un’occhiata a me, poi al bambino che ho accanto, e poi nuovamente a me, ed etichetta immediatamente me e lui come persone particolari, quando particolari non siamo affatto.

Mi da fastidio quando la gente mi guarda come pensando che io sia superiore a loro, non lo sopporto, e mi da fastidio quando mi guarda pensando che io creda di essere superiore a loro, non lo sopporto allo stesso modo.
Salutano gentilmente, e fanno finta di nulla.

Mi da fastidio quando certi ragazzi si rivolgono a me, come fossi solo una possibile moglie coi soldi, e fanno di tutto per conquistare le mie simpatie, presentandosi a me con una grossa maschera sulla faccia, che non mi permette di conoscerli per davvero.

Mi da fastidio quando i bambini mi vedono da lontano e mi chiedono la caramella, mi da fastidio perché io non sono un distributore di caramelle, e se quelli con la pelle uguale alla mia di solito si divertono ad offrire ovunque questo tipo di regalo, non è detto che anche io debba divertirmi allo stesso modo.

Mi da fastidio che molta gente qui non sappia fare differenze, e se sei bianco sarai fatto sicuramente in un certo modo, altrimenti che bianco sei? Vuoi forse far credere che bianco non significhi soldi? Vuoi forse far credere che bianco non significhi un sentimento di pietà nei loro confronti?
Mi da fastidio che si faccia di tutta un’erba un fascio.

Poi penso agli stranieri in Italia. Penso a tutte le cose che daranno fastidio a loro, in Italia. Penso agli sguardi pesanti che ogni giorno devono sostenere loro, stranieri nel mio Paese.
Credo che gli sguardi che trafiggono loro siano ancora più pesanti di quelli che sento io quaggiù, perché gli sguardi che conoscono sono a volte sguardi di chi si crede superiore, e mai il contrario. Gli sguardi che incrociano a volte appartengono a persone capaci di maltrattarli, invece qui, per quanto io possa essere vista come diversa, nessuno oserebbe mai maltrattarmi per davvero, forse per una specie di timore reverenziale che gli arriverà da secoli di storia, in cui i bianchi sono sempre stati quelli con il potere, che non dovevano essere trattati male, altrimenti avrebbero certamente trovato il modo per vendicarsi.

In Italia gli sguardi che gli stranieri devono sopportare, invece, appartengono a persone che potrebbero aiutarli, che forse dovrebbero aiutarli, ma che invece sanno solo giudicarli. Sono sguardi a cui loro sono costretti a rivolgersi per poter sopravvivere. Anche quelli sono sguardi che non conoscono mezze misure, in Italia straniero significa per molti persona che ruba, persona che spaccia, persona che ammazza. E la cosa buffa è che il più delle volte gli italiani non pensano queste cose perché hanno visto un altro straniero passare di lì ad ammazzare, a spacciare, a rubare, a dare loro “la caramella”. Fomentati dalla Lega e da altri ministri del nostro governo, dalla televisione e dai giornali, che in certi casi glielo hanno detto tra le righe, gli italiani sono stati raggirati, ed ora credono che quella sia la sola ed unica verità. E così finiscono per pensarla in questo modo solo perché così fan tutti, e non se ne rendono nemmeno conto. Ed è così difficile far capire loro quanto sbagliano.

Quando io qui mi fermo a parlare con un bambino che mi ha appena definito “mzungu”, cioè “bianco”, e gli spiego che non è bello che mi etichetti in questo modo per il semplice colore della mia pelle, mi chiami pure Chiara se vuole chiamarmi, ma non bianco, lui capisce subito, e se mi rivede mi chiama per nome. Se io spiego ad un italiano che quel nero al semaforo, anzi, peggio, quel rom seduto fuori alla sua chiesa, non è solo quella persona che gli chiede l’elemosina, e non è detto che rubi, e non è detto che spacci, l’italiano non mi crede per davvero. All’italiano ormai hanno inculcato troppo bene in testa l’idea che straniero significa criminale. Non basta star lì a spiegargli che non è la verità.

Allora forse l’italiano, per capire, dovrebbe solo provare certi sguardi sulla propria pelle.
Quando un giorno si sentirà straniero, quando un giorno altri lo guarderanno come si guarda un diverso, quando lo tratteranno diversamente solo perché è bianco, e allora sull’autobus dovrà pagare di più, o nei negozi dovrà pagare di più, o quando la gente parlerà alle sue spalle perché tanto lui non capirà la loro lingua, e lui si sentirà preso in giro, e magari anche un po’ umiliato, quel tanto che basta, allora forse capirà quanto sia sbagliato trattare male uno straniero.
Capirà quanto sia sbagliato pensare che il colore della pelle e la provenienza geografica debbano per forza significare qualcosa di particolare.
Capirà quanto sia sbagliato dividere gli uomini in razze, e pensare che una sia meglio dell’altra, e anzi che una sia peggiore di tutte. E allora forse la smetterà di comportarsi come un criminale.

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