Caschi Bianchi Zambia

Istanti di gioia

La celebrazione delle palme a Ndola diventa l’occasione per assaporare la gioia e la semplicità, tra bambini, canti e danze.

Scritto da Marco Pezzoli

Ndola, Zambia. Domenica 5 aprile 2009. Nella giornata odierna anche a Ndola, seconda città dello Zambia per importanza (industriale e commerciale) ed estensione dopo la capitale Lusaka, è la Domenica delle Palme. Non voglio, non posso perdermi la celebrazione in quella che ormai è divenuta la “mia parrocchia” durante questi primi mesi di Servizio Civile, la St. Elizabeth Catholic Church, all’interno del compound di Signa (Nkwazi), uno dei maggiormente estesi e popolati della città; insieme con me ci sono anche Dorcas, Felistas ed una mezza dozzina di ragazzi appartenenti al “Gruppo Giovani” della diocesi.

Una volta lasciata la strada principale, asfaltata, ed imboccata quella sterrata e colma di buche che introduce nel compound, giunti all’altezza del campo da calcio adiacente la “special unit school” per ragazzi disabili gestita dalla Comunità, con sorpresa lo scopriamo gremito di uomini, donne e tanti, tanti bambini, ciascuno con in mano un ramoscello di palma come da tradizione, ordinatamente disposti in cerchio attorno a Father Augustin, ai concelebranti e ai chierichetti in preghiera.

Affascinato dall’atmosfera che subito respiro, immerso in questa situazione, così insolita per me ed oltretutto inaspettata, e dagli sguardi di festa e saluto rivoltimi da ogni direzione, perdo di vista i miei compagni, mescolandomi tra la folla in ascolto.
Immediatamente viene offerto anche a me, da un ragazzo che mi chiama per nome, ma che non ricordo di aver mai conosciuto prima di allora, un ramo di palma da agitare in aria, mentre mi accorgo di essere circondato da bambini costantemente richiamati al silenzio da anziane signore avvolte in chitenge (1) e inneggianti alla Madonna di Lourdes o ai vari Vescovi succedutisi a capo della Chiesa di Ndola. Fanno a gara per starmi il più vicino possibile ed avere la possibilità di rubarmi uno sguardo, quasi fosse una regola divertente da trasgredire.
Sono loro che prendo per mano poco dopo, una volta che la processione comincia a muovere i primi passi per le strade polverose del compound, in direzione della St. Elizabeth Church. Insieme a loro provo ad accennare qualche piccolo balletto o qualche passo di danza, seguendo il ritmo delle percussioni. Ma mi accorgo mestamente che i miei passi risultano ben poca cosa rispetto ai movimenti ricchi di emozione e sentimento messi in scena dai diversi cori presenti. Questi cori sono facilmente distinguibili l’un l’altro dai diversi colori dei chitenge indossati dai vari componenti di ogni età, tra canti di festa urlati in Bemba a gran voce che qualche ragazza prova ad insegnarmi, vedendomi concentrato nello sbiascicare semplici parole ogni tanto.

Quanto vorrei che questi istanti fossero eterni..Respiro a pieni polmoni tutta la gioia del vivere, insieme alla polvere chiara innalzata da questa folla in festa, la catturo nello sguardo divertito e innocente della piccola Naomi che mi stringe la mano, nel suo sorriso sincero nel vedermi ballare (devo sembrare davvero ridicolo), la percepisco nei saluti che mi vengono rivolti continuamente da anziane donne al lato della strada, che cercano di dialogare con me nella loro lingua locale, prima di lasciarmi proseguire con una carezza una volta intuito che non posso ancora comprenderle..e sono felice..

Incrocio il mio sguardo con quello di Daniel, insieme a lui anche Alessia, Chiara e Clement, responsabile per noi Caschi Bianchi e membro di Comunità, ognuno con un ramoscello di palma in mano, sorridenti nel mezzo del corteo. Li raggiungo non senza fatica, trasportato quasi senza volerlo dal fiume di gente che mi circonda, e mi aggrego a loro per perderli però, di nuovo, poco dopo. Mi sento come in balia dell’atmosfera che mi circonda, quasi fuori dalla realtà di questa calda domenica che ci introduce alla Settimana Santa.
Raggiungiamo l’ingresso della chiesa quando è ormai già colma di gente; ci sediamo a terra vicino al portone, ai lati della navata centrale, ma veniamo immediatamente accompagnati, quasi fossimo clienti di un qualunque cinema, “nei posti che ci sono stati riservati”. Riservati a noi? Ci chiediamo. Perché mai dovremmo avere i posti riservati, in prima fila oltretutto? Nessuno sapeva che saremmo venuti per partecipare a questa celebrazione. In ogni caso le nostre timide resistenze sono vane: attraversiamo la navata principale sotto lo sguardo, attento e curioso, dei fedeli e ci accomodiamo nelle prime due file del transetto di sinistra. Davanti a noi, seduti a terra alla base dell’altare, una ventina di bambini sorridenti. Il caldo si fa
insopportabile ancora prima della benedizione iniziale; siamo come “incastrati” sulle nostre panche di legno, troppo vicine le une alle altre tanto che in ogni momento c’è il rischio di infilarsi la punta di una foglia di palma negli occhi.
Balli e canti scandiscono l’interminabile lettura del Vangelo e l’omelia seguente, il momento dell’offertorio e quello dello scambio della pace, durante il quale veniamo letteralmente assaliti da tutti i bambini lì presenti in nostra compagnia. La stessa situazione si ripete una volta terminata la celebrazione ed usciti dalla chiesa, con Father Augustin che cerca di tradurci in inglese la sua omelia mentre ascolto con un bambino in braccio, uno in spalle ed uno per mano. Cosa desidero di più dalla vita? La possibilità di poterla inchiodare a questi momenti..
Note:

1. Indumento africano simile al kanga o al sarong asiatico, tipico della tradizione swahili e diffuso in Kenya, Uganda, Tanzania, Sudan, Namibia, Zambia, Malawi e altri paesi

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