Caschi Bianchi Sri Lanka

Un paese sospeso

La difficile situazione che vive il paese asiatico, attraversato ancora dai combattimenti, e la difficoltà di raccontarne la vita quotidiana

Scritto da Giulia Giacomuzzi

Atterro all’aeroporto di Colombo e l’impressione è di nuovo quella… rimango affascinata dalla forza prorompente della natura, il verde carico delle palme, da cocco e da banana, di manghi imponenti, i colori vividi di fiori ancora sconosciuti…. ma è un fascino che non mi travolge e che questa volta non riesco a non guardare con occhi diversi.

Lo Sri Lanka purtroppo non è più solo l’eden di vacanzieri europei che vi si rifugiano per svernare, o forse non lo è mai stato, di sicuro ora è una magnifica terra insanguinata da un conflitto che sta conoscendo i momenti più cruenti degli ultimi decenni. Non è onesto raccontare un Paese attraverso le tappe di una guerra, soprattutto se la guerra dura da più di 25 anni, come è questo il caso. Non è altrettanto sincero però, ignorare ciò che sta accadendo, semplicemente perché fa male all’animo, perché la televisione ci propina tutti i giorni immagini di morti, bombardamenti, case distrutte e madri in lacrime di fronte ai corpi dei loro bambini uccisi da un qualcosa più grande di loro. Questi non luoghi attualmente si chiamano Gaza, Iraq, Afghanistan, Congo, Sudan. Purtroppo ne esistono molti altri, che i media si dimenticano di menzionare, perché troppa informazione fa male, ne sono sufficienti piccole dosi, possibilmente che siano d’impatto grazie a scene raccapriccianti che scuotono gli animi, che ci suggeriscono da che parte stare e mettono la coscienza a tacere per un po’.
Lo Sri Lanka da ricettacolo della compassione umana dopo lo Tsunami si trova ora relegato in panchina, in attesa che qualcos’altro accada e gli permetta di affacciarsi al mondo e gridare “Cu-cu ci sono anche io!”. Questo qualcosa però si sta già consumando ed il mondo non se ne accorge.

La più lunga guerra d’Asia sembra stia giungendo al suo epilogo, stando alla propaganda del governo della famiglia Rajapaksa. Stiamo assistendo alla nascita di una feroce dittatura religiosa buddista, un nonsenso. Forse oltre 70 mila morti sono bastati a sconfiggere il demone del terrorismo. Ebbene si, anche qui in Asia, in questa isola dell’oceano Indiano, la cosiddetta lacrima dell’India, sembra sia giunto lo spauracchio del terrorismo internazionale, che tutto può e tutto giustifica. Le famigerate Tigri Tamil (LTTE- Tigri per la Liberazione del Tamil Eelam) ed il suo leggendario leader Prabhakaran (come ogni buon leader che si rispetti fuggito dal Paese, nascosto in posti non noti ai più ma ben noti ai pochi che contano…sembra il ripetersi di un copione già messo in scena) ormai confinate in meno di 300 chilometri quadrati di giungla dovrebbero capitolare sotto il fuoco dell’artiglieria, dell’aviazione e della marina cingalese nelle prossime ore, forse addirittura in tempo per festeggiare a dovere la festa dell’indipendenza dal giogo coloniale britannico, ragione e causa di ciò che sta accadendo ora, come una sorta di rivincita storica.

Scrivere la storia però ha un prezzo piuttosto alto: 250.000/300.000 sfollati intrappolati nelle zone di combattimento o in campi di prigionia, non raggiungibili dalle organizzazioni umanitarie costrette ad andarsene, né da giornalisti che possano documentare e verificare le stime perché rischiano la vita se esprimono “pregiudizi favorevoli ai ribelli”, e bersagliati da razzi e missili mentre si trovano nell’unico ospedale rimasto o nelle “safe zones”.
La descrizione della tragedia umanitaria che si sta consumando nel nord del Paese potrebbe continuare per molto, si potrebbe elencare il numero dei morti civili, evidenziando le percentuali di donne e bambini, si potrebbe discutere della legittimità delle strategie militari utilizzate, degli strumenti di repressione e controllo, del coinvolgimento di bambini soldato, dell’utilizzo presunto di civili come scudi umani, si potrebbe, ma ciò temo non provocherebbe altro che un allontanamento, perché è umano fuggire da ciò che ci spaventa e che ci disgusta. Che fare allora? Ignorare e vivere serenamente la nostra quotidianità non lasciandoci turbare da cose troppo lontane da noi, verso cui ci sentiamo impotenti? Lasciarci toccare dai drammi che sta vivendo l’umanità ma solo per poco, giusto il tempo di commiserare, commentare e dimenticare?

Non so quale possa essere la risposta, forse la risposta, in questa come in tante altre circostanze non esiste, forse la risposta va lasciata alla coscienza di ciascuno.
Certo è che come esseri umani abbiamo delle responsabilità verso il mondo e verso gli altri esseri umani, responsabilità che non possiamo sospendere e a cui non ci è concesso venire meno. In quest’ottica non posso tacere l’indignazione, lo sconforto, l’incomprensione che mi colpiscono stando qui, scoprendo quanto scarsa sia l’informazione su ciò che respiro tutti i giorni e che sta purtroppo assomigliando sempre più alla mia normalità. Ricordando a me stessa che noi esseri umani siamo causa di ciò che accade, quindi anche il motore del cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, ho trovato la mia risposta nel pensiero di un illuminato:

“Quando dispero, ricordo che nonostante tutto nella storia la via della verità e dell’amore ha sempre trionfato. Ci sono stati tiranni e assassini e per un po’ possono sembrare invincibili ma alla fine cadono sempre. Riflettici, sempre.”
Mahatma Gandhi.

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