Caschi Bianchi Palestina / Israele

Omicidio a Betlemme

Una testimonianza.

Scritto da Sara Venturini

Sono le 6 di pomeriggio del 12 marzo. Io, Chiara e Ilaria, appena tornate da una visita all’università di Betlemme sorseggiamo un profumatissimo caffè arabo in una caffetteria a 5 minuti dal mercato della città. Vivere in un paese musulmano, dove vige una cultura maschilista e fortemente conservatrice, non è sempre facile per noi ragazze. Ogni tanto abbiamo bisogno di chiaccherare e confrontarci sulle nostre esperienze…o su quante proposte di matrimonio abbiamo ricevuto nell’ultima settimana!
Ilaria ha lezione di arabo e se ne va. Io e Chiara aspettiamo ancora qualche minuto prima di andarcene. Mi chiede di accompagnarla a casa, lì posso trovare un taxi per tornare a Beit Sahour. Stiamo per andarcene quando sentiamo una raffica di spari. Riceviamo una chiamata da Ilaria: c’è stata una sparatoria sotto casa della sua professoressa, nonché 10 metri prima di casa di Chiara. Ci sono i soldati. Ci consiglia di non passare da lì, ma di prendere la strada da sotto.

Usciamo dal locale. Abbiamo paura, ma non osiamo dircelo. Non sappiamo bene che fare. Decidiamo di avvicinarci alla strada per capire cosa sta succedendo. Improvvisamente siamo travolte da una folla di uomini, donne e bambini che corrono all’impazzata verso di noi. Le sirene urlanti di un’ambulanza pazza ci impediscono di udire ogni altro suono per qualche minuto. È caos. Chiara ha paura. Due settimane prima mentre tornava a casa verso l’ora di cena si è trovata con un mitra puntato alla schiena davanti alla porta di casa. I militari allora, stavano cercando qualcuno e avevano incendiato cassonetti dell’immondizia. Non vuole ritrovarsi di nuovo in una situazione simile.
Non capiamo bene cosa sia successo e decidiamo di rifugiarci per un pò in un negozio.
Qui incontriamo lungo la strada due amici. Stravolti. Scioccati. Non li ho mai visti così. Kristel mi racconta: “Stavamo al negozio del cugino di Alà, pochi metri più in su del luogo dell’omocidio quando vediamo passare un’auto rossa, seguita poco dopo da un taxi e poi…una raffica di spari. Ci affaciamo subito per capire cosa fosse successo, e vediamo la macchina rossa piena di fori di pallottole con quattro uomini morti dentro.”
Poi alcuni ragazzi del posto ci raccontano che un taxi con un’unità speciale dell’IDF (Isaeli Defence Force) era entrato a Bethelehem, e senza nemmeno scendere dall’auto i militari, in borghese, avevano mitragliato una macchina uccidendo 4 uomini. Poi sono arrivati altri militari, in divisa questa volta, con una jeep, e raccolti gli assassini se la sono dati a gambe.
“Ma dove sono ora i militari?” chiedo io. “No, non ci sono, se ne sono già andati…più veloci di un baleno” mi risponde il negoziante. “Allora la strada è libera, si può andare a vedere cos’è successo” rispondo.

Ci avviciniamo di qualche metro. C’è un affollamento di gente. Arrivano fotografi e giornalisti. C’è una macchina rossa al centro della folla, tappezzata di buchi. Il rumore degli spari che avevo udito pochi minuti prima mi rientra in testa e si associa alle immagini. Vetri rotti ovunque. Macchie di sangue sui sedili e a terra. I corpi sono già stati coperti da lenzuoli e verranno portati all’ospedale. Mi sento quasi mancare per un attimo. Mi estraneo con i sensi dalla confusione attorno a me. Immagini confuse, veloci.. Rosso. Vedo tutto rosso. La macchina è rossa. Il sangue è rosso. Le sirene dell’ambulanza sono rosse. Il colore della violenza è rosso. Mi ritorna in mente una discussione avuta con un amico di qua poco tempo fa, su quale colore potesse rappresentare meglio l’umanità. Io avevo detto il marrone, perchè il marrone è il colore della terra, degli alberi, è il colore che accomuna tutti gli uomini in quanto figli di questa terra. Ma lui mi aveva detto: ti sbagli, la terra non è di tutti e non è per tutti. Anche quando ci vivi da generazioni, e hai tutti i documenti che provano la tua proprietà, qualcuno può sempre arrivare e dire che non è più tua. E la terra può essere di sabbia, di roccia, rossa, marrone, verde, bianca, grigia, nera…ma il sangue è uguale per tutti gli uomini, e il sangue non può essere che rosso.
Pensavo a queste cose quando pian piano mi ritornano i sensi e ricomincio a udire pianti e grida di disperazione. Una donna disperata si attacca alle gambe di uno dei cadaveri e ci vogliono 4 uomini per staccarla. Lei rimane li, seduta a terra con le braccia ancora tese verso quel corpo senza vita che le è stato barbaramente portato via.
Poi la corsa all’ospedale. Ci saranno centinaia di persone almeno, tra cui tantissimi bambini. Io sono spaesata. Non so bene cosa fare, né perchè mi trovo li. Mi spingono e schiacciano da tutte le parti. Siamo davanti a una barella con il corpo di uno degli uomini, fasciato da un lenzuolo bianco. Ma ben presto arrivano le bandiere palestinesi, da porre sopra il corpo, come da usanza per i martiri. Poi un ragazzo, più giovane di me, si scaraventa con violenza sulla folla. Vuole passare. Tutti lo insultano. Arriva davanti e si getta sopra il corpo e scuotendolo con forza incomincia ad urlare .
“Padre- dice- padre, ti hanno ammazzato quei bastardi! Ti hanno ammazzato. Ma io non lascerò impunita la morte di un innocente. Non lascerò che il tuo sangue sia stato versato invano. Te lo prometto. Te lo prometto”.

Una ragazza sviene e viene portata via. Iniziano gli inni ad Allah, come da tradizione. Io mi sento sempre più estraniata. Ho visto troppo. Voglio tornarmene a casa. Ma le grida del ragazzo e il pianto della donna mi tormentano.

L’indomani il funerale alla Nativity Square. Non voglio andare, ma tutta Betlemme è li. È una questione di rispetto. La piazza è piena. Non l’ho mai vista così, neanche per la notte di Natale. Assisto senza capire alla preghiera di centinaia di persone che si chinano ripetutamente, a sequenza a terra al comando cantato di un uomo al megafono.
In tutta Betlemme è sciopero generale. No taxi, no lavoro, no negozi…niente di niente. Improvvisamente la confusione e la vita di una città araba si trasforma in lutto. Betlemme è una città fantasma e lo sarà per altri 3 giorni.

Tornando a casa mi sento davvero scossa. Non mi era mai capitato di assistere a una cosa del genere. Ma quanti bambini erano lì? penso. Per quanti bambini, questa è la realtà, la normalità. Per quanti di questi bambini è il rosso del sangue ad accumunare tutta l’umanità?!
Cerco la notizia nei quotidiani internazionali. Mi avevano spiegato che uno di questi uomini era un affiliato al partito della Jihad islamica. Lo cercavano da tempo. Pochi giorni prima i soldati erano entrati a Betlemme durante la notte e avevano demolito la sua casa. È la politica israeliana, quella di demolire le case dei presunti terroristi. Una punizione collettiva, come sempre. Altri due erano membri del Consiglio Comunale a Betlemme, il quarto, un amico.
Ma come faceva l’IDF a sapere che questi uomini si trovavano in macchina in quel punto esatto della città e a quell’ora esatta? La domanda mi riporta alla triste realtà del collaborazionismo. Per sopravvivere alla miseria e all’occupazione, molti diventano collaborazionisti. Stipendi vertiginosi, macchine di lusso, protezione delle famiglie, libertà di movimento…
Mi hanno detto che molti li hanno reclutati in carcere, nelle carceri palestinesi, criminali insomma, ai quali è stata venduta la libertà in cambio della propria dignità.
Nel website di Repubblica la notizia viene subito riportata. “Strage al colleggio rabbinico di Gerusalemme: ucciso il presunto mandante”.
Chi ha passato le informazioni a Repubblica, mi chiedo? Perchè non c’è scritto che un’unità speciale dell’IDF è entrata a Betlemme in borghese e ha barbaramente ucciso 4 uomini? Perchè non c’è scritto che questo è terrorismo di stato? Perchè non c’è accusa contro uno stato religioso che pretende di essere democratico ma invece di arrestare civilmente delle persone che ritiene pericolose e sottoporle ad un giusto e dignitoso processo le uccide a sangue freddo? Perchè non c’è scritto che l’uomo che cercavano da anni vive nella West Bank e non ha possibilità di contatti con i palestinesi del ’48 che vivono in Israele? Perchè non c’è scritto che il gruppo che ha rivendicato l’attentato a Gerusalemme è completamente estraneo alla Jihad islamica?
Perchè non c’è scritto che nella West Bank c’è un occupazione militare da 40 anni e ogni partito politico ha i suoi conbattenti per la resistenza? Perchè non si scrive mai che l’Italia non sarebbe libera oggi se non ci fossero stati i partigiani? Perchè in Italia la resistenza si, e in Palestina no?
Forse perchè così il mondo è contento. Gli Israeliani hanno ammazzato un altro terrorista, il responsabile della strage a Gerusalemme. Ma chiedete di farvi mostrare i fascicoli che provano il suo coinvolgimento alla strage e scoprirete che sono segreti. Chiedete di vedere le prove che mostrano la pericolosità o la responsabilità degli 11.000 palestinesi (di cui molti bambini) oggi nelle carceri israeliane…e scoprirete che anche questi sono segreti. Scoprirete che sono persino segreti all’imputato e al suo avvocato.
Perchè non dire che nella scuola rabbinica di Gerusalemme sono state uccise 10 persone e a Gaza 150 palestinesi, di cui molti bambini, solo nell’ultimo mese? Perchè non dire che l’attentato a Gerusalemme è stato utilizzato come pretesto per uccidere quest’uomo che cercavano da anni? Perchè far credere agli israeliani di aver trovato e ucciso il responsabile dell’attentato?

Parlo con un ragazzo israeliano pochi giorni dopo l’attentato a Betlemme.
“Hanno fatto bene ad ammazzarli. Erano criminali. Se non siamo noi ad ammazzarli, saranno loro ad ammazzarci tutti” mi dice.
Insiste che io non posso capire perchè sono straniera. Non sono cresciuta sotto la paura degli attentati terroristici. Ciò che unisce tutti gli israeliani qui, mi spiega, non è la religione ma è la paura degli arabi. È vero, non ci sono cresciuta sotto la pura di camminare in Jaffa Street o di prendere un autobus, ma cosa posso aspettarmi da un paese che riempie le strade di Gerusalemme ovest con decorazioni luminose per festeggiare i 40 anni dell’occupazione di Gerusalemme est?

Le condizioni sono evidentemente diverse, ma mi viene da pensare che la ratio che sta dietro a questa politica non è poi così differente da quella di altri paesi del mondo. Da sempre l’unità di una nazione è stata perseguita attraverso la riunificazione attorno alla bandiera, riunificazione possibile solo attraverso la creazione di un nemico comune che minacci l’identità di tale nazione. Fa parte del processo di costruzione identitario, il bisogno di creare l’immagine di un’alterità con la quale confrontarsi e definirsi per antitesi a essa, identità che si forma dunque in funzione di un nemico e che viene perseguita contro di esso. Cosi viene propagandata la fobia per i terroristi, e attraverso un gioco di generalizzazioni, per gli arabi più in generale. E così, dopo l’attentato a Gerusalemme gli studenti raccoltisi nella scuola rabbinica urlavano al mondo “morte agli arabi”.
Ma come non pensare che la violenza genera solo altra violenza? Come non capire il motivo dell’attentato a Gerusalemme dopo ciò che è successo a Gaza? Si potrebbe ripercorrere la spirale di violenza e arrivare fino al 1948…ma servirebbe a qualcosa?
Non dimenticherò le parole del figlio di uno dei 4 uomini uccisi a Betlemme. “Non lascerò che il tuo sangue sia stato versato invano”. Quanto sangue ancora dovrà essere versato per poter dare ad un popolo ciò che era suo e che gli spetta di diritto? Quanti bambini continueranno a vedere il rosso del sangue dietro ciò che accomuna l’umanità?

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