Burundi Caschi Bianchi

Storie dal Burundi: bambini di strada

Continua l’incontro con A., che ci guida nel mondo degli “enfants de la rue”: ragazzini dediti a piccoli furti, che hanno lasciato la campagna e le loro famiglie troppo povere, un fenomeno soprattutto nelle periferie delle città più grandi.

Scritto da Lucia Pezzuto

In Africa si assiste al grande spettacolo della vita. Le periferie, i villaggi, le zone campestri, le città sono affollate di piccoli ometti, si sentono schiamazzi durante tutta la giornata, urla e risate. Sgambettano per ogni dove, sbucano fuori dai cespugli, salutano e sorridono. Già a 4 o 5 anni possono svolgere lavori come trasportatori di acqua o di altro materiale, a 7/8 anni possono fare qualcosa di più complicato. Che siano soli o in gruppo mettono allegria a tutti, la sera tornano nelle loro case o capanne. In città invece puoi incontrare bambini che una casa non ce l’hanno. Come facciano a vivere e quale sia la loro storia è difficile da capire. Gli ho visti riposarsi all’ombra degli eucalipti, delle bougainvilliers o degli alberi di mango. Non danno confidenza, circolano in modo sospetto, portano abiti sporchi e strappati e i loro piedi sono incrostati di fango e duri come la roccia arsa al sole. Sono i cosiddetti enfants de la rue, che detto cosi non significa molto.

Allora ho chiesto ad A. qualche spiegazione.

A. è il ragazzo che mi accompagna in città. Mi sposto dalla periferia alla città o perchè ho bisogno di trovare qualcosa difficilmente reperibile a Kamenge o per delle commissioni al consolato, in posta, in banca, ecc. Lui, giornalmente, consegna la posta a vari organismi nazionali ed internazionali ma ha la pazienza di rispondere alle mie domande. Si giostra bene in città. Nonostante non sia alto e prestante ma abbastanza esile, il suo sguardo mostra sicurezza e il suo fisico connota un passato da ex combattente. Gli abitanti di questa parte d’Africa non sono noti per la loro altezza, a parte il fattore genetico scommettono che dipende dall’alimentazione povera e non variegata, nonché dalla quantità di cibo che assumono. La maggior parte dei bambini sono malnutriti. Tutti qui hanno sperimentato la fame, soprattutto durante la guerra.
A. prima di impugnare le armi frequentava la scuola in città ed aveva imparato a riconoscere les enfants de rue; all’uscita di scuola si fermava incuriosito a parlare con loro. Il fenomeno infatti è particolarmente diffuso in città, dove circolano soldi e la folla si accalca per le strade creando il caos e questi piccoli ladruncoli possono agire nell’indifferenza.

Usciamo da Kamenge, ed è come immergersi in un altro ambiente, poco conosciuto; cio mi mette apprensione ma ho accanto A., percorriamo le strade della città. Ci fermiamo a consegnare la posta presso qualche ufficio, questione di pochi secondi in cui lui rimane in macchina ed io scendo e porgo la busta in mano al portiere di turno declamando il mittente.
Si riparte, alla volta, del supermercato, niente di paragonabile ai negozi europei. Qui perdiamo un po’ piu di tempo. A. scherza con le commesse, e per prendere chili di verdura e frutta, pane, uova per tutta la comunità ci mettiamo un tempo infinito. Ripartiamo e A. si sporge dalla macchina gridando qualcosa in swahili a dei ragazzini. A me sembra un po’ esagerato il tono che ha usato con quei bambini ed allora domando cosa si siano detti. Nonostante sembrasse preso a terminare le varie commissioni aveva già visto quei ragazzi aggirarsi furtivamente accanto alla macchina in cui io ero seduta con i finestrini aperti, le borse della spesa e i documenti in bella vista. I ragazzini in questione avevano facce che lui aveva già memorizzato durante le sue scorribande in città. Gli aveva avvertiti di non tentare di mettere a segno il colpo altrimenti avrebbe saputo dove ritrovarli e come riavere le cose sottratte. Secondo il mio parere era stato più che convincente ma loro avevano da ribattere ed infatti poco dopo in un altro punto della città erano ancora li a girarci intorno come alligatori.
Infondo A. aveva una ‘bianca’ accanto e, secondo la cultura africana di condivisione, avrebbe dovuto condividere con loro i miei soldi ; questo era l’argomentazione con cui si giustificavano e come dargli torto vedendo in quale clima sono cresciuti : dove il ‘bianco’ finanzia e la maggior parte delle volte non ha un contatto diretto con la popolazione locale. Nessuno spiega da dove arrivino esattamente i soldi e come, semplificando si può pensare che in Europa i soldi caschino dal cielo e che la gente non sappia cosa farsene. Senza pensare che per finanziare i progetti in Africa ci potrebbe essere qualcuno che fa anche dei sacrifici, delle persone che cercano i finanziamenti, lavoro tutt’altro che facile e gente che magari non arriva alla fine del mese con il proprio stipendio. Qualche tempo fa nei Quartieri Nord i ‘bianchi’ non potevano entrare perché venivano assaliti, oggi la situazione è migliorata. E comunque i suddetti ragazzi non sapevano che io in borsa non avevo neanche 1 Franco burundese (Fbu).

Io mi indispongo prontamente verso chi mi chiede soldi appellandomi ‘Musungu’(bianco), A. invece allunga qualche spicciolo a chi si avvicina senza l’intenzione di rubare. Si fa cosi, per portare al termine il proprio dovere giornaliero senza troppi intoppi.

Senza pretendere di semplificare gli enfants de la rue sono i bambini che vivono per strada e praticano soprattutto l’arte dello scippo ; ovviamente non sono soli. Normalmente c’è un adulto che li istruisce. Chi fa il lavoro piu sporco ha stracci addosso ; invece i più grandi sono ben vestiti, ma si riconoscono dallo sguardo appena passano accanto ad una macchina: passano strisciando gli sportelli ed il loro sguardo è fisso all’interno. Se scoprono qualcosa di interessante mandano un paio di bambini a creare e mentre, da un lato, uno mette su una sceneggiata, dall’altro lato qualcuno ti sfila il denaro; i modi in cui rubano sono dei piu ricercati e folkloristici. E i migliori vengono copiati da altri gruppi.

Se la polizia li ferma può trattenerli in una stanza minuscola e affollata per un massimo di 3 giorni, il tempo massimo per cui possono restare a digiuno ; dopo aver restituito la refurtiva vengono rilasciati e sono liberi di procurarsi del cibo.
Sono ragazzini che hanno lasciato le loro famiglie, troppo povere, e che dalla campagna cercano fortuna in città. Hanno deciso di guadagnarsi da vivere e magari anche qualcosa in più. La maggior parte delle volte finiscono preda dell’alcol e della droga ed è difficile recuperarli, educarli e reintegrarli nelle famiglie. Ci sono varie organizzazione a Bujumbura che se ne occupano : li nutrono, li mandano a scuola, li insegnano a vivere secondo le regole di una comunità, li fanno disintossicare, ai più grandi insegnano un mestiere e li reintegrano nella comunità di appartenenza seguendoli solo economicamente per lo studio finché non abbiano raggiunto la maggiore età. Molte volte il loro percorso si interrompe e spesso per il semplice gusto della libertà. Un piatto caldo non è negato a nessuno ma per chi decide di vivere in questi centri deve sottostare ad una regolamentazione restrittiva.

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