Caschi Bianchi Zambia

Ospiti d’onore

Un corso di avviamento professionale al cucito in Zambia può cambiare la vita di una famiglia, può permettere ad una moglie di emanciparsi dal marito, può dare la possibilità di mandare i propri figli a scuola.

Scritto da Elmar Loreti

Doveva essere una comparsata in una festicciola improvvisata per festeggiare la fine del corso di cucito finanziato dal Progetto Rainbow.

O almeno questo è quello che avevano spiegato a Carlotta.
Sabato mattina io, Carlotta e Silvia, senza fretta, ci dirigiamo allo Shalom Park più per ammazzare il tempo che per un reale desiderio di andarci; siamo vestiti come capita, Silvia porta un enorme borsone pieno di strumenti per la lavorazione del rame e, per di più, siamo in ritardo di circa un’ora e mezza rispetto all’inizio ma, dopo tutto, chi avrebbe notato la nostra assenza?
Appena messo piede nel giardinetto ben curato, cosparso di faccioni di Gesù di ceramica e di casette di legno di varie dimensioni, veniamo indirizzati con solerzia verso la più grande di quest’ultime; i nostri occhi non fanno a tempo ad abituarsi alla penombra che veniamo trascinati ai nostri posti: su un palchetto, dietro a una lungo tavolo con tanto di tovaglia immacolata, al fianco delle autorità –il preside della Community School, predicatore di una congregazione cristiana non meglio identificata, un rappresentante del governo e tre anziane signore dall’aria materna.
A giudicare dalla nostra posizione, anche noi siamo parte delle autorità e dai tre bicchieri davanti al nostro posto (come facevano a sapere che saremmo stati in tre?), tuttavia, siamo anche qualcosa di più, qualcosa che viene esplicitato non appena il preside prende la parola: noi siamo i Guest of Honour! E tutte le persone convenute (circa una sessantina fra diplomandi e familiari degli stessi), stavano aspettando solo noi per cominciare con la cerimonia!

Il nostro imbarazzo è palpabile, soprattutto quello di Carlotta che, nella veste di rappresentante di Rainbow, è quella fra noi su cui si appuntano le attenzioni maggiori; a quanto pare dovrebbe anche pronunciare un discorso preparatole per l’occasione, discorso, questo, di cui la povera Carlotta non sapeva nulla e che, quindi, le viene risparmiato.
Dopo il nostro arrivo, comunque, la cerimonia va avanti spedita: un comico intrattiene la platea con gustose (pare) battute in Bemba, le varie personalità fanno i loro discorsi di rito e le torte, che troneggiano al centro della sala su una specie di altare, si sciolgono lentamente.
Vengono servite alcune bevande, viene servito il pranzo (anche qui l’imbarazzo di essere serviti per primi è grande…) e, fra i flash di fotografi più o meno professionali, Carlotta è chiamata a tagliare, assieme al preside, la torta e, verso la fine, a consegnare i diplomi.

Mano a mano che la cerimonia va avanti il nostro atteggiamento cambia: l’imbarazzo lascia il posto alla partecipazione e, sul finale, alla commozione; ci rendiamo conto della basilare differenza fra un corso di avviamento professionale tenuto qui rispetto che in Italia: qui, espressioni come “formazione continua” non hanno per la maggior parte delle persone alcun senso, qui un corso come quello di cucito può cambiare la vita di una famiglia, può permettere ad una moglie di emanciparsi dal marito, può dare la possibilità di mandare i propri figli a scuola. Questa coscienza è ben presente nei discorsi fatti dalle autorità, tutti tesi a sottolineare come il diploma non sia un punto di arrivo ma un punto di partenza, che le diplomate e i diplomati non devono appendere quel pezzo di carta al muro di casa, ma devono spenderlo nel mondo del lavoro. È tuttavia, molto più presente nei visi gioiosi e commossi, nelle strette di mano tremanti di emozione e negli abbracci con i familiari (peraltro quasi tutte donne).
Tutto ciò dà anche un senso alla nostra presenza: come mi dice il comico, noi siamo lì perché, con la nostra pelle bianca inadatta al sole africano, siamo un simbolo, la nostra mera presenza dà importanza all’evento anche se non abbiamo fatto nulla. Noi siamo i guest of honour perché siamo una curiosità, un ornamento della cerimonia come lo possono essere i vestiti rossi delle diplomate o la guarnizione eccessiva della torta…è in questa veste che ci sottoponiamo al rito delle foto: prima quelle di gruppo, poi quelle con le diplomate, poi con qualunque persona passi da quelle parti.
Forse è così che si sente l’orsetto Knut allo zoo di Berlino: un oggetto curioso che, senza aver fatto nulla, si merita di essere al centro dell’attenzione e degli obiettivi di tutti.

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