Caschi Bianchi Kosovo

L’indipendenza del Kossovo farà volare ancora le farfalle. Speranze di un artigiano cattolico.

L’arte della filigrana è stata custodita con costanza e passione dagli artigiani della minoranza cattolica di Prizren durante la guerra. L’argento veniva lavorato nonostante i divieti, poi fuso e lavorato di nuovo, solo per mantenere viva la tradizione. Ora che il Kossovo è uno stato, gli artigiani vedono un futuro più sicuro per il loro lavoro, senza odi e discriminazioni.

Scritto da Sara Cossu e Nadja Rainer, Caschi Bianchi a Prizren

Padre di cinque figli, un tedesco fluente e la capacità di calarsi nella società in cui vive con intelligenza, profondità ed entusiasmo. Parliamo con A., artigiano cattolico di Prizren: la storia della filigrana è legata a quella del Kossovo, della ex-Yugoslavia, e dei popoli che ci abitano, alle guerre che l’hanno devastata, all’indipendenza. E ripercorriamo insieme i fili d’argento che hanno dato vita per secoli a preziosi gioielli, intrecciandosi ad un susseguirsi di eventi che la sua memoria ci riporta con precisione.
Trascorriamo così un intero pomeriggio in una stanza riscaldata da una stufa a legna, spazio che funge da cucina e salotto, dove la figlia più grande sta facendo i compiti, il nonno con i baffi in un elegante abito marrone è disteso sul divano e scruta con curiosità noi italiane, la moglie misura la temperatura al figlio più piccolo e ci versa da bere, e gli altri tre figli si alternano a giocare al pc. Non mancano alle pareti il Kalendari Katolik, alcune immagini della Madonna e un crocifisso.

Raccontaci la tua storia di cittadino di Prizren, abitante di questa salita…
Sono nato a Prizren trentanove anni fa. Scuola e gioventù appartengono a questa città. Nel 1991, quando è scoppiata la guerra in Croazia, sono partito per la Svizzera e lì ho lavorato per sei anni. Sono rientrato in Kossovo ed ora lavoro la filigrana. È il lavoro di famiglia. Forse è stato mio bisnonno a cominciare. Mio nonno era originario di un paese piccolissimo nei pressi di Gjakova ed è arrivato cinquant’anni fa a Prizren, il centro della lavorazione della filigrana. È venuto a viverci, vicino agli altri cattolici che la lavoravano, in questa salita, presso la cattedrale. Ma per mio nonno il lavoro non era al primo posto. Ha scelto questo luogo per un motivo ben più importante, per la vicinanza alla Chiesa. Per la sua fede.

Cosa rappresenta per te la filigrana? 
Per me significa due parole: tradizione e famiglia. È un’arte che s’insegna in famiglia. Le tecniche sono state custodite con gelosia tra le nostre mura domestiche. Io l’ho imparata da bambino e senza di lei non potrei più vivere. È sempre stato così. Mio figlio ha dodici anni, ho visto che ha talento. Noi eravamo cinque figli maschi. Tutti ci hanno provato ma le capacità, quelle non sono di tutti! Se con l’indipendenza miglioreranno le cose, mio figlio non dovrà fare altri lavori per andare avanti, potrà esercitarsi, coltivare le sue doti e potrà vivere di quest’arte. Proseguirà lungo questa strada.

Perché la filigrana è un’arte in mano alla minoranza dei cattolici?

Nessuno straniero è venuto in Kossovo ad insegnarcela. Fin dall’epoca dell’Impero ottomano l’arte della filigrana è stata custodita come un tesoro nelle mani dei cattolici, nelle loro case. Con passione. Con devozione.
Il comunismo vietò la lavorazione privata. Farlo a casa era assolutamente illegale. A mio padre una volta sequestrarono tutto l’argento perchè lo trovarono a lavorare in casa e lo multarono.
Gli artigiani, di fronte ad un simile divieto, cercarono una soluzione: fecero una riunione e decisero di raccogliersi in un unico centro a Prizren, portare là gli strumenti e lavorare “per lo Stato”. Venne fondato un centro chiamato Organizata për prodhimin e stolive nga ari dhe argjendi “Filigran”. In realtà allo Stato poco interessava sapere cosa succedeva all’interno. Gli artigiani lavoravano seguendo il proprio stile, con originalità. Ogni artigiano poteva dimostrare la sua bravura ovunque in tutta la Yugoslavia, vendendo i propri gioielli, mostrando la propria arte.
L’edificio dove aveva sede è quello che si vede all’uscita di Prizren. Sul portone in ferro battuto ci sono due farfalle. Lo decisero gli artigiani. Quelle farfalle dovevano rappresentare all’esterno il loro lavoro. Il fabbro saldò semplicemente il ferro al quale loro avevano già dato quella forma. Oggi il centro è completamente distrutto. L’inizio della guerra in Croazia ha distrutto il turismo e il mercato della filigrana ad esso legato. Tutto distrutto. Tutte le fabbriche, di qualunque tipo. Crollate insieme alla Yugoslavia. Dal 1991 in poi è incominciata una decadenza e la guerra in Kossovo è stato il colpo finale.

Al centro eravate tutti cattolici? 
All’inizio sì. Poi, dopo dieci anni dall’apertura, lo Stato ci mandava degli apprendisti dalle scuole professionali. Ragazzi di tutte le etnie e religioni. Ma noi eravamo i migliori! Custodivamo i segreti del mestiere appreso in famiglia, dai padri e dai nonni. Con gelosia. Non li rivelavamo di certo!
Nel 1974 venne votata la nuova Costituzione della Yugoslavia che diede inizio ad un periodo di maggiori libertà. Dal 1975 al 1991, sulla scia della liberalizzazione, vennero aperti tanti negozi di privati dove lavorare e vendere la filigrana. Si poteva vivere molto bene in quegli anni. Si guadagnava tanto. Con la guerra in Croazia, da un giorno all’altro, tutto finì. La guerra aveva ucciso il turismo. E tarpato le ali alle nostre farfalle d’argento. Da due anni ha iniziato finalmente a muoversi qualcosa. Qualche commerciante arriva dalla Croazia a comprare nuovamente la nostra filigrana.

Che cosa teneva in vita quest’arte durante le guerre che hanno sconvolto i Balcani? 
Io ero via, e mio padre ha lavorato durante la guerra perché non aveva altro da fare. Lo faceva per non annoiarsi. Solo per questo. Tanto nessuno avrebbe comprato nulla. Non c’era possibilità di reperire il materiale, l’argento. Lavorava la filigrana, faceva croci e farfalle. Poi le scioglieva, e di nuovo lavorava l’argento e lo trasformava in nuove croci e farfalle. E ancora farfalle e gioielli, che fabbricava e scioglieva. Fabbricava e scioglieva. Aspettando che il tempo passasse e la guerra finisse. Sempre lo stesso argento. Molti degli altri artigiani facevano come mio padre.
Con l’arrivo degli internazionali, militari, NGO, ONU si vende qualcosa. Si è sparsa la voce e qualche straniero viene a compra nel mio laboratorio. Ho partecipato ai mercatini di Natale, ma nulla in confronto ai chili d’argento che ci compravano i croati prima del 1991.

Uno dei tuoi sogni? 
Aprire un atelier in Europa. Questo è il mio sogno. Ma il problema del visto ci tiene chiusi in una gabbia. Non possiamo partire, dimostrare quanto siamo bravi. Con l’indipendenza cambierà tutto. L’abbiamo aspettata per quasi cento anni! Non avevamo le nostre scuole, il lavoro. E siamo sopravvissuti comunque. Ci siamo riusciti. Ora, in un Kossovo che è diventato Stato, dal punto di vista del lavoro tutto andrà meglio. E anche per la filigrana. La filigrana è un’arte che va tutelata. Sta lentamente morendo. Prima a Prizren duecento famiglie la lavoravano. Ora siamo solo in quattro o cinque. Questo è stato causato dalla crisi economica, dalle guerre. I genitori non potevano insegnare ai figli perché dovevano fare altri lavori per sopravvivere e far sopravvivere la famiglia e lasciavano da parte quest’arte. È come se una generazione fosse saltata. I vecchi avevano occhi ormai troppo stanchi per insegnarla ai loro nipoti.
Ora tutto cambierà. Il Kossovo sarà vicino all’Europa, e gli artigiani potranno partire e vendere i propri gioielli nelle capitali europee. Se vivi isolato, dentro confini incerti che non puoi nemmeno varcare, la tua arte nessuno la potrà mai apprezzare.
In questo Kossovo indipendente dimentichiamoci di discriminazioni, di odi, di difficoltà. Smettiamo di parlarne. Lasciamoci finalmente tutto alle spalle. Lasciamolo al passato. Guardiamo al futuro migliore che è già cominciato.

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