• Cb Caritas, 2008

Caschi Bianchi Kosovo

L’indipendenza del Kossovo con gli occhi di Dila

Venticinquenne, cattolica, albanese, Dila vive a Prizren, dove lavora come educatrice. Come tanti suoi connazionali, non pensa ai serbi che vivono in Kossovo, ma festeggia con la sua gente un futuro che immagina fatto di più lavoro per i giovani, di dialogo e di pace.

Scritto da Sara Cossu e Nadja Rainer

Pavarësia, indipendenza. Una parola scolpita e ricamata ovunque, che sventola sulle bandiere, sugli striscioni appesi ai balconi, nelle vetrine negozi, nei bar e ristoranti. Un orgoglio dal sapore shqiptar di rosso e aquila bifronte, la bandiera dell’Albania, che si accompagna a bandiere degli USA e degli Stati che hanno appoggiato il Kossovo in questa scelta d’indipendenza. Una torta di metri e tonnellate di panna e cioccolato offerta lungo il viale Nena Tereza a Prishtina alla gente festante. Un continuo brindare gësuar pavarësinë, happy indipendence, scivolando sulle note di Nina Simone con Feeling good o degli U2, con Beautiful Day. Un carosello di magliette, accendini, palloncini, gadget in vendita ad ogni angolo della strada. Gli auguri della compagnia di telefonia mobile via sms. Un vocabolo scandito con commozione che risuona nella musica e nella bocca di tutte le persone che camminano per strada nonostante la colonnina di mercurio sia sotto lo zero. Un nome dato a molte bambine nate in questo giorno. Una parola da prima pagina che si offre ai flash e alla stampa di tutto il mondo. Compagna di Shteti e Republikë che, nell’albanese dei kosovari, si avvolgono nello stesso valore semantico e sanno di pane appena sfornato. Tutto questo è Pavarësia.

Dila forse non pensa a che ne sarà dei serbi di Mitrovica o di Gorazdevac, degli stupendi monasteri dell’Ortodossia serba, che del Kossovo aveva fatto storica dimora. Non bada alle dichiarazioni di Putin o Tadic, presidenti della Russia e della Serbia che considerano la dichiarazione unilaterale un atto illegale. Un atto di prevaricazione insopportabile. Non si chiede quali saranno gli sviluppi sotto il profilo delle relazioni internazionali. Fa spallucce e di fronte alle tue domande ti offre un sorriso luminoso e sereno, pensando e ripensando a questa festa grande appena passata, che resterà impressa nei suoi ricordi per il resto dei suoi giorni, che racconterà ai figli che sogna di avere il prima possibile.

La incontriamo durante la pausa pranzo, dopo una mattinata trascorsa a costruire, insieme ai bambini, la nuova bandiera per il Kossovo, da portare a casa come ricordo. Appartiene alla comunità cattolica di Prizren e lavora come educatrice all’asilo Madre Cabrini. Due occhi scuri immensi, pieni di dolcezza e gioia guardano avanti con entusiasmo e ci raccontano in venti minuti, di fronte ad un piatto di patatine fritte di come viva una ragazza di 25 anni questo evento storico. Una ragazza qualunque. Con sogni qualunque. Ma le sue emozioni valgono quanto quelle di un capo di stato che firma per primo una nuova costituzione.

Il 17 febbraio il Kossovo ha dichiarato la propria indipendenza. Che cosa significa tutto questo per te, per i tuoi genitori, per i tuoi nonni?
Il Kossovo per anni e anni, secoli e secoli ha aspettato l’indipendenza. Il popolo albanese ne era affamato perché è sempre vissuto sottomesso, sotto il controllo e il potere di altri popoli. Il Signore ha voluto che il sangue dei nostri fratelli albanesi non sia stato versato invano. Alla fine si è coronato questo sogno chiamato indipendenza.

Che significato ha questa nuova bandiera?
È stato indetto un concorso… l’ha vinto un giovane che ha usato l’azzurro per rappresentare tutti i kossovari, le stelle per ricordare la presenza di diversi popoli, il giallo delle miniere e quindi delle risorse del Kossovo. La sua ricchezza.

Avevi 14 anni nel 1999. Che cosa è stata la guerra per una ragazzina come te?
Nel 1999 facevo la seconda superiore e studiavamo nelle case, non nelle scuole. In una stanza di quattro metri per quattro. In quaranta. Mentre studiavamo temevamo le irruzioni dei militari serbi, che ci avrebbero fatti sgomberare tutti e portati via. Anche a casa si stava con la paura addosso… dormivamo con i vestiti addosso, per il terrore di doverci alzare nel cuore della notte e fuggire via. Questi alcuni dei miei ricordi…

Che cosa prepari per il tuo futuro? Quali pensi saranno le gioia, le difficoltà?
Con l’indipendenza ci sarà un avvenire migliore, e i giovani troveranno più facilmente lavoro. Un Kossovo indipendente permetterà maggiore chiarezza e regolarità. La mia gioia più grande è sapere che mi sposerò nel 2008 e sarò quindi una delle spose dell’indipendenza.

Sei un’educatrice. I bambini ai quali insegni saranno cittadini di uno Stato nuovo. Che valore dai all’educazione alla pace, all’amore, alla gioia di vivere insieme, più popoli in un solo territorio?
Sono felice di lavorare con i bambini, perché sono loro che costruiranno un Kossovo migliore e democratico. I bambini hanno tanto bisogno di dialogare sulla pace. Ma devono anche conoscere il passato che ha preceduto la loro nascita. Devono sapere quanto è costato questo Stato. Sapere questo, averlo presente, permetterà di valorizzarlo e custodirlo nel futuro.

In che modo partecipi da cattolica a questo momento?
Posso solo essere orgogliosa. In fin dei conti il Kossovo è indipendente perché anche i cattolici hanno contribuito. La Chiesa la sento vicina. Nel circolo parrocchiale abbiamo la nostra rivista chiamata Ausiliatrice di cristiani. Curo una pagina, intervistando giovani, anziani, bambini. A breve vorrei intervistare proprio loro e chiedere come abbiano vissuto quest’indipendenza, la festa, la gioia, come vedano il loro futuro. Durante la Quaresima recitiamo il rosario ogni sera, in casa, con i miei familiari. E la preghiera che mi esce dal cuore è che gli Albanesi siano più uniti ora che hanno il loro Stato, che non ci siano più faide e vendette di sangue, che ci sia più armonia tra la gente, e che ci sia più lavoro per tutti.
Preghiamo tutti insieme perché la transizione non sarà facile.

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