• Cb Apg23, 2007

Caschi Bianchi Zambia

Neoliberalismo o Neocolonialismo economico? Effetti della privatizzazione delle miniere in Zambia

Nonostante l’età del dominio coloniale si sia ufficialmente conclusa nella seconda metà del XX secolo, appare evidente che l’influenza dominante di alcuni Stati e soprattutto di imprese multinazionali assume oggi forme più subdole. Il caso della privatizzazione delle miniere in Zambia mostra come gli interessi degli investitori internazionali vengano anteposti a quelli dei piccoli imprenditori locali, con effetti disastrosi per la crescita economica locale.

Scritto da Alexandre Preite, Casco Bianco con Apg23 a Ndola

Cenni storici (1)

La regione del Copperbelt, letteralmente “cintura del rame”, situata lungo il confine fra Zambia e Congo, rappresenta una delle più grandi fonti di rame al mondo. Sin dal 1928, quando fu aperto il primo impianto per l’estrazione del minerale, l’industria del rame ha monopolizzato l’economia Zambiana. Già a partire dal periodo del dominio coloniale britannico la Rodesia del nord (attuale Zambia) era stata di fatto riconosciuta, dalle autorità locali, come la principale fonte di ricchezza grazie alle risorse del sottosuolo. Ricchezza che veniva destinata quasi esclusivamente alle più significative infrastrutture industriali, sociali, educative e governative della Rodesia del sud (ora Zimbabwe). Le miniere allora erano possedute e gestite da due società: la Roan Selection Trust e l’Anglo-American Corporation.

Quando lo Zambia conquistò l’indipendenza politica, il 4 ottobre del 1964, il suo primo presidente, Kenneth Kaunda, ed il suo partito di appartenenza, United National Indipendence Party (UNIP), riposero una grande speranza nello sviluppo del paese. Centrale in questo sviluppo si dimostrò la rapida crescita dell’industria del rame, guidata da prezzi favorevoli del minerale sul mercato mondiale, fra gli ultimi anni del 1960 ed i primi anni del 1970.
Nel corso del 1968 per il presidente Kenneth Kaunda crebbe la consapevolezza che, dal momento dell’indipendenza, poche entrate erano affluite nelle casse dello Stato da parte delle due grandi imprese che detenevano la totalità delle industrie minerarie. Di lì a poco il governo annunciò la nazionalizzazione delle miniere. La costituzione venne emendata attraverso un referendum e tutti i diritti dei proprietari delle miniere, così come le licenze esclusive per effettuare le esplorazioni del sottosuolo allo scopo di studiarne le caratteristiche strutturali, e giacimentologiche e per estrarre il minerale, passarono allo Stato. Le due compagnie allora esistenti furono così obbligate a cedere allo Stato una quota pari al 51% delle proprietà mineraria esistente, furono cioè nazionalizzate e dalla loro fusione nacque nel 1982 il colosso parastatale Zambia Consolidates Copper Mines (ZCCM).
La filosofia di Kaunda, del così detto”umanitarismo zambiano”, si concentrava principalmente sullo sviluppo delle potenzialità delle popolazioni rurali e su una serie di ambiziosi piani quinquennali di sviluppo nazionale, miranti ad indirizzare i profitti delle nuove miniere del rame nazionalizzate verso la costruzione di ospedali, scuole ed università. Fino ad allora infatti le autorità coloniali avevano fatto pochi sforzi per diffondere l’istruzione fra la popolazione e per sviluppare infrastrutture sanitarie. Alla vigilia dell’indipendenza si stima che meno dello 0,5% della popolazione zambiana avesse completato la scuola primaria ed il paese aveva solo 107 laureati.
Dal periodo dell’indipendenza, durante gli anni in cui il prezzo del rame a livello internazionale era molto alto, i due terzi delle entrate del governo provenivano dalle miniere. Oltre al ruolo economico, ZCCM giocava anche un importante ruolo a livello sociale, sostenendo i lavoratori delle miniere sotto varie forme: attraverso sussidi per l’abitazione, la fornitura di cibo, acqua, elettricità e istruzione per i propri figli. ZCCM attuava una politica di welfare letteralmente “dalla culla alla bara”, contribuendo perfino alle spese di sepoltura. Sfortunatamente però il paese stava costruendo lo sviluppo su fondamenta non solide, in quanto caratterizzate quasi esclusivamente dalla crescita del settore minerario senza alcuna diversificazione nel settore economico.

La crisi del modello ZCCM

I progressi maggiori nell’attività estrattiva dell’industria mineraria riguardarono la prima decade dell’indipendenza(2). Questa crescita iniziò a rallentare quando il prezzo del rame crollò in seguito alla crisi petrolifera del 1974, costringendo il paese a ricorrere al prestito estero per poter mantenere la spesa pubblica. Dopo la seconda crisi petrolifera, nel 1979, i tassi di interesse balzarono in alto e lo Zambia si ritrovò in una situazione di forte indebitamento. Per 20 anni l’economia del paese peggiorò, toccando livelli senza precedenti, mentre il prezzo del rame continuava a scendere. Fra il 1974 ed il 1994 il reddito pro-capite si abbassò del 50%, collocando lo Zambia al 25° posto fra i paesi più poveri al mondo.
Durante tutto il periodo della crisi economica la ZCCM venne trattata come una “mucca da mungere”, cercando di ottenere il massimo profitto senza corrispondere i necessari investimenti in macchinari, attività di prospezione ed altro. Dopo il 1979 nessuna nuova miniera fu aperta. Dato che il minerale grezzo nelle miniere esistenti veniva estratto a profondità sempre maggiori, si ebbe un notevole incremento dei costi di produzione. Come effetto, la produzione della ZCCM passò da 750.000 tonnellate nel 1973, a 257.000 nel 2000.
Già nel 1980 la Banca Mondiale (BM) ed il Fondo monetario Internazionale (FMI) iniziarono ad usare il massiccio indebitamento contratto dal governo zambiano nei loro confronti, come leva per spingere il Paese ad adottare politiche di liberalizzazione economica. Lo Zambia accettò il suo primo prestito condizionato da parte del FMI nel 1973-1974 ed entrò nel suo primo programma di aggiustamento strutturale dettato dalla BM nel 1983. Da questo momento in poi le istituzioni finanziarie internazionali condizionarono le politiche economiche zambiane.
Nel 1987, di fronte alle numerose proteste contro l’austerità delle misure previste dal programma di aggiustamento, il governo rigettò le condizioni del suo prestito ed istituì un “Nuovo programma di ripresa economica”, che limitava il pagamento del debito al 10% degli introiti netti da esportazione. Nel settembre dello stesso anno il rifiuto del paese di pagare al FMI i tassi prestabiliti portò alla chiusura collettiva di tutti i rubinetti dei finanziamenti e privò così il paese di assistenza. Nell’arco di 18 mesi gli erogatori stabilirono il loro piano d’azione: il futuro supporto del paese sarebbe dovuto andare di pari passo con le loro priorità. Il Governo ben presto si rese conto che non aveva molta scelta. Avrebbe dovuto ricorrere nuovamente agli aiuti condizionati della BM e FMI svalutare la moneta, liberalizzare i prezzi e tagliare i sussidi alimentari. Quando lo Zambia accettò un nuovo programma di aggiustamento strutturale, nel 1989, gli investitori tornarono nel paese.

La privatizzazione delle miniere in Zambia

A partire dal 1991, con la vittoria nelle elezioni statali del partito di Frederick Chiluba, il Movement for Multiparty Democracy, iniziò a prendere piede l’idea che quella della privatizzazione fosse l’unica strada percorribile. Sotto la supervisione della BM e del FMI, lo Zambia venne definitivamente trasformato: da un’economia socialista dominata dalla parastatale Zambia Consolidated Copper Mines (ZCCM) si passò ad un sistema di libero mercato. La suddivisione della ZCCM in diverse società più piccole, e la loro vendita ad investitori privati fra il 1997 ed il 2000, segnarono il completamento di uno dei più ampi e rapidi processi di privatizzazione mai visti al mondo. La trasformazione fu considerata dalla BM e dal FMI come un grande successo, lo Zambia era così divenuto meta di investimenti e donazioni da parte di molti paesi ricchi. La privatizzazione ha sicuramente portato enormi benefici alle compagnie minerarie. Stabilimenti che rischiavano di chiudere sono tornati ad operare. Nuove miniere hanno aperto i battenti. Produzione e profitti hanno avuto e stanno avendo un significativo incremento. Nonostante ciò le comunità del Copperbelt esprimono tutt’oggi le loro frustrazioni attraverso scioperi e proteste perchè non vedono i guadagni che erano stati promessi. La loro amarezza è alimentata dalla percezione che le miniere generino massicce ricchezze, dato il crescente prezzo del rame ma che, per via della privatizzazione, i guadagni non arrivino agli zambiani.

A differenza di quanto il modello teorico neoliberista continui a promettere – un aumento del benessere collettivo grazie alla maggiore produzione di ricchezza, conseguenza dell’apertura dei mercati nazionali ai prodotti ed alle multinazionali straniere – la realtà è molto diversa e la maggioranza dei cittadini zambiani ne vive la difficile quotidianità. La mancanza di sussidi per molti settori dell’economia, la prevalenza della domanda di lavoro rispetto all’offerta che porta molti individui a lavorare in condizioni disumane e con salari da fame, lo svantaggio competitivo dovuto alle carenza di personale altamente qualificato ed alla palese inferiorità tecnologica rispetto ai paesi ricchi, rendono il mercato zambiano soggetto al dominio quasi incontrastato dei prodotti stranieri, soprattutto sudafricani (3) e recentemente cinesi. Nonostante la favola raccontata dalle scrivanie delle istituzioni finanziarie internazionali(4) , la svendita del patrimonio industriale del governo Kaunda ad acquirenti privati stranieri, la diminuzione della spesa pubblica, anche per sanità ed istruzione al fine di ridurre il deficit di bilancio, l’apertura del Paese ad investimenti stranieri, la riduzione delle sovvenzioni e l’abbattimento di ogni controllo sul mercato, non hanno reso tutti felici e contenti, ma hanno ucciso l’economia locale ed ampliato la frattura sociale fra ricchi e poveri. Sta inoltre aumentando il senso di frustrazione della popolazione che, bombardata da ammiccanti messaggi pubblicitari di ogni genere, deve continuamente confrontarsi col modello e con i valori della società consumistica occidentale, e si trova a scontrarsi con l’impossibilità materiale di raggiungere lo stile di vita proposto. Nel mondo “reale” infatti, da quando la ZCCM è stata privatizzata, la crisi sociale che già operava nel Copperbelt è divenuta più profonda. Basti guardare i dati: l’aspettativa media di vita è scesa notevolmente negli ultimi decenni e l’indice di sviluppo umano conferma questo peggioramento del benessere sociale(5). Il governo zambiano sì è impegnato a soddisfare le esigenze delle nuove imprese cercando di andare incontro ad ogni loro capriccio, e si è dimostrato incapace di raccogliere una considerevole e legittima quota di entrate mediante una percentuale più alta di tassazione sui profitti delle miniere. Inoltre è venuto meno il suo ruolo di effettivo regolatore del mercato, a scapito della protezione dei diritti dei lavoratori e delle comunità locali. Rispetto al passato ha notevolmente ridotto il suo ruolo di erogatore di servizi sociali.

Sono almeno sei le problematiche relative alla privatizzazione ed alle sue conseguenze:

1) Stipula di accordi iniqui, fra il pubblico ed il privato, che hanno favorito e deresponsabilizzato le compagnie. Le imprese minerarie infatti approfittando del fatto che il governo zambiano fosse con l’acqua alla gola e alla disperata ricerca di nuovi investimenti, hanno negoziato l’acquisto del patrimonio della ZCCM attraverso i “Development Agreements” ossia degli accordi che hanno esentato le stesse imprese dal coprire molte delle responsabilità che la stessa ZCCM aveva, incluso il rispetto di diverse leggi nazionali, come quella sull’inquinamento ambientale, il pagamento di molte imposte e la possibilità di assicurare la pensione ai propri lavoratori. Si tratta di accordi che hanno uno status legale inusuale, non possono infatti essere modificati dalle legislazioni future per un arco di 15-20 anni dalla loro stipulazione, data la necessità per le imprese minerarie di avvalersi di un certo “periodo di stabilità” che le tuteli da cambi di rotta politici, e che assicuri che le strategie previste vengano messe in atto e portino i profitti desiderati. Date le loro enormi implicazioni, ciò che è incredibile riguardo ai “Development Agreements” è che sono stati tenuti segreti. Per circa un decennio da quando il primo di essi fu concluso, diversi organi nazionali e le stesse autorità di regolamentazione che avrebbero dovuto fare in modo che le imprese rispettassero l’accordo, non sono state autorizzate a prenderne visione. Attualmente questi accordi sono consultabili on-line(6), e sono disponibili ai cittadini zambiani come a chiunque altro.

2) Progressivo aggravamento delle condizioni dei pensionati. Già prima della privatizzazione la situazione finanziaria della ZCCM era lentamente peggiorata ed il governo zambiano si era trovato presto di fronte a rigide limitazioni di budget, che avevano reso incerto il futuro dei pensionati nel Copperbelt. Successivamente, con la privatizzazione, numerosi individui non si videro attribuita alcuna pensione sebbene avessero lavorato per lungo tempo per compagnie divenute di proprietà di colossi stranieri.
Alcuni di questi casi tutt’oggi non sono stati ancora risolti. Diverse migliaia di lavoratori inoltre furono immediatamente licenziati perché in soprannumero (7). L’attuale precarizzazione della forza lavoro delle miniere non farà che peggiorare ulteriormente la crisi sociale in atto, dato che molti lavoratori odierni, così come probabilmente l’intera prossima generazione di minatori, sarà privata della sicurezza di un reddito da pensionamento essenziale. Durante gli ultimi ottant’anni il lavoro nelle miniere ha rappresentato la molla di un forte flusso migratorio dalle zone rurali verso i centri urbani della regione. Al termine della vita lavorativa, quindi, e senza una pensione che permetta di continuare a vivere nelle costose città, molti si ritrovano nell’impossibilità di tornare all’agricoltura di sussistenza e di inserirsi all’interno delle reti di protezione sociale create dalla famiglia estesa, che invece assicurano una serena vecchiaia nelle aree rurali (8).

3) Diffusione di operazioni illegali e della loro impunità, favorita dal sistema normativo di regolamentazione cui è stata sottoposta l’attività delle compagnie. Secondo i dettami di BM e FMI, il governo zambiano, aprendosi al libero mercato per cercare di attirare investimenti da BM e FMI e una volta imboccata la strada della privatizzazione, doveva rendersi più attraente dei suoi vicini e competitori, sviluppando un regime regolatore favorevole agli investitori (investor friendly policy)(9). BM e FMI hanno, in sostanza, usato la situazione di indebitamento e la dipendenza del Paese dalle loro erogazioni per assicurarsi che determinate leggi fossero approvate: si tratta principalmente della legge sugli investimenti (Investment Act)(10) e della legge sulle miniere ed i minerali (Mines and Minerals Act)(11), che resero inefficaci molti dei provvedimenti che lo Stato aveva precedentemente istituito sulla condotta delle compagnie minerarie. Alcuni investitori hanno ovviamente profittato del fatto che le istituzioni statali zambiane fossero troppo deboli per regolare effettivamente la loro condotta. Inoltre lo stesso Stato sembra aver sviluppato relazioni politiche con certi ambienti del settore minerario consentendo a questi ultimi di ignorare senza pericoli alcune regolamentazioni relative a salute, lavoro, immigrazione ed ambiente.

4) Incremento del precariato fra i lavoratori. Sebbene, infatti, gli investimenti avessero creato nuovi posti di lavoro, si è verificato un crollo nella qualità dell’impiego, con circa il 45% di coloro che sono occupati nelle miniere ora incapaci di accedere a contratti permanenti e pensionabili (12). Molte compagnie minerarie stanno utilizzando contratti a rotazione e a termine, con condizioni significativamente meno vantaggiose rispetto ai contratti (13) stipulati nel periodo antecedente alla privatizzazione. Data l’ardua e pericolosa natura del loro lavoro, i minatori zambiani meriterebbero un trattamento più dignitoso, con termini e condizioni contrattuali che considerino anche l’aspetto umano e che vadano, una volta tanto, al di là di una logica incentrata esclusivamente sul profitto. La situazione corrente sta creando per la prima volta fra i minatori la categoria del “lavoratore povero”.

5) Scarsa tessitura di collegamenti con le attività economiche locali.
Molti dei benefici di cui l’economia locale avrebbe goduto in seguito alla privatizzazione non si sono materializzati, dato che i contatti dei nuovi proprietari delle compagnie minerarie sono soprattutto con fornitori, produttori e mercati al di fuori dello Zambia. Molti fornitori locali che un tempo commerciavano con la ZCCM ora hanno cessato, o quantomeno fortemente ridotto, la loro attività. Per una serie di palesi ragioni non sono in grado di competere con la qualità ed il prezzo offerto dai fornitori stranieri. Sebbene il governo zambiano abbia frequentemente sollevato questo problema, appare però riluttante nell’imporre alle compagnie minerarie un sistema di vincoli ed incentivi tale da mettere in atto una politica industriale in grado di sostenere i fornitori locali e costruire un ambiente favorevole allo sviluppo di un processo manifatturiero del rame a livello prettamente locale (14).

Il fallimento nella realizzazione di una politica industriale è in parte spiegabile con il fatto che il paese è vincolato ad una vasta gamma di accordi per favorire il libero mercato a livello regionale e globale, accordi che impediscono di gestire i flussi di beni, servizi e capitali all’interno dei confini nazionali; e in parte spiegabile con la dipendenza del paese dalle erogazioni finanziarie di BM e FMI che hanno implementato stretti controlli sulla politica economica zambiana. Infine è anche parzialmente spiegabile dalla presenza dei “Development Agreements” che vincolano il governo e permettono alle imprese di far circolare beni dentro e fuori il Paese con controlli minimi ed un ridotto pagamento di imposte.

6) Fallimento del tentativo di preservare e mantenere le principali infrastrutture sociali, (scuole, ospedali, servizi). La ZCCM nel Copperbelt forniva numerose risposte ai bisogni della società: occupazione, ospedali, scuole, abitazioni ed una vasta gamma di servizi al cittadino, inclusi programmi di prevenzione per malaria ed Aids. Verso la fine dell’era ZCCM, gran parte di quest’opera iniziò a collassare. I nuovi investitori privati non si sono attivati per continuare a mantenere questi impegni e responsabilità. Essi considerano come “core business”, ossia l’oggetto principale della loro attività, unicamente ciò che produce profitto (l’estrazione del rame), e la previsione di infrastrutture sociali non rientra nei loro obiettivi ed impegni. Secondo l’ideologia del libero mercato e secondo la logica dei Development Agreements questi beni e servizi per la collettività dovrebbero ora essere forniti dalle autorità locali oppure dalle forze di mercato. In seguito alla privatizzazione né lo Stato né il settore privato sono stati presenti in molte aree del Copperbelt (15). Lo Stato Zambiano è fra le più piccole e deboli strutture statali del mondo, con un rapporto medico-paziente fermo a 1:14000 comparato con 1:200 dell’Italia: non ha i presupposti organizzativi e finanziari per coprire i doveri e le responsabilità che le compagnie tendono a respingere. La popolazione locale deve effettuare una scelta, spesso dolorosa, sui servizi essenziali di cui può usufruire. Per esempio una famiglia povera (circa il 70% della popolazione) dovrà scegliere se sostenere le spese sanitarie per farmaci e cure in ospedale oppure pagare l’uniforme, le scarpe e le tasse scolastiche ai propri figli. Poco del già magro bilancio familiare, rimarrà da investire per l’implementazione di una piccola attività economica, agricola o dall’allevamento, che possa generare un qualche reddito. È un circolo vizioso che non fa che alimentare la povertà.
Inoltre un crescente numero di famiglie versa in stato di insolvenza, per cui viene tagliato fuori dalla fornitura di acqua ed energia elettrica. Le industrie minerarie stanno iniziando quindi a riconoscere che in questo contesto, secondo un freddo calcolo di convenienza economica, l’investimento nella “fabbrica umana” delle comunità circostanti è anch’esso necessario per preservare i profitti di più lungo periodo e per conquistare terreno sul versante del consenso pubblico. La privatizzazione ed i tagli nel sistema sanitario, che la ZCCM gestiva, hanno portato velocemente ad un significativo aumento dell’assenteismo sul posto di lavoro come conseguenza soprattutto di un incremento della diffusione della malaria. Molte imprese quindi si resero subito conto che era nel loro interesse riattivare programmi di prevenzione contro la malaria nelle aree ove i lavoratori e la comunità più ampia vivevano. Ciò vale anche per l’epidemia dell`AIDS-HIV che sta letteralmente devastando la forza lavoro zambiana (16).

Al momento sono circa sei i nomi che dominano il palcoscenico minerario nel Copperbelt: Luanshya Mines (Svizzera), Chanbishi Metals (Svizzera), Chambishi Mines (Cina), Chibuluma Mines (Sud Africa), Bwana Mkubwa Mines (Canada), Mopani Copper Mines (Canada) e Konkola Copper Mines (Inghilterra e India). Solo nelle ultime due compagnie è presente una partecipazione statale di minoranza attraverso la ZCCM Investment Holding.

La conseguenza più prevedibile del passaggio di proprietà delle miniere dal controllo statale alle mani dei privati é rappresentata dal fatto che i profitti ottenuti dalle miniere lasceranno il Paese senza avere nessun positivo impatto sull’economia zambiana e, anziché essere reinvestiti per rafforzare e moltiplicare l’economia locale, saranno accumulati in qualche banca o reinvestiti in altre compagnie straniere. Le entrate dello Stato non provengono direttamente dalle vendite e dai profitti delle miniere, ma piuttosto dalle tasse che gravano sulle imprese stesse, nella forma di imposta sul reddito dei dipendenti, imposta sul valore aggiunto pagata sui servizi acquistati dalle miniere, imposte sulle importazioni ed esportazioni, tassa sui profitti d’impresa e diritti minerari, mineral royalties(17) sulle vendite del rame. Il contributo delle miniere agli introiti totali derivanti dalla tassazione è veramente esiguo. La BM ha calcolato una cifra indicativa, sintesi di più valori, chiamata “Marginal Effective Tax Rate” (METR), per descrivere quanto ciascun settore industriale è tassato. Da tale valore si evince che per via del basso livello di tassazione e dei significativi incentivi, il settore minerario zambiano gode di un METR prossimo allo 0%. Quello minerario quindi è paradossalmente il più favorito settore dell’economia zambiana(18). Si antepongono gli interessi degli investitori internazionali a quelli dei piccoli imprenditori locali. A partire dal 1991 inoltre vi sono stati massicci aumenti di tasse sulla persona fisica e massicci tagli invece alle imposte gravanti sulle imprese, quelle minerarie in particolare. Inoltre, nei loro Development Agreements le compagnie hanno negoziato la possibilità di pagare un’imposta sui profitti d’impresa più bassa rispetto a quella applicata alle altre industrie.

Conclusioni

Sempre più persone oggi stanno prendendo coscienza che l’attuale modello economico avvantaggia solo pochi paesi e persone a scapito di tutti gli altri(19). Si serve di istituzioni accreditate e apparentemente serie e di influenti strumenti finanziari per poter indebolire le difese immunitarie degli apparati statali, attuare i propri ricatti e poter penetrare come un virus all’interno della realtà economica del paese e potersi poi estendere a tutti gli ambiti della società (culturale, sociale, politico ecc..).Quello zambiano è un esempio illuminante.
Mentre le industrie minerarie lavorano a pieno ritmo, sulle arterie stradali che collegano i principali centri economici del Copperbelt colpiscono l’attenzione le miriadi di camion ed autoarticolati che trasportano lastre di rame pronte per l’esportazione ed enormi macchinari utilizzati dalle miniere. Il via vai è continuo ad ogni ora del giorno e della notte. L’usurpazione delle ricchezze del paese si sta consumando sotto i nostri occhi senza che la popolazione benefici in modo rilevante e influente dei grandi profitti che il rame in questo momento permette di ottenere alle società straniere. Probabilmente senza la privatizzazione non sarebbero stati generati quegli enormi profitti, ma occorre chiedersi quali sono le ricadute sulla popolazione della liberalizzazione selvaggia dell’economia. Bisogna chiedersi quanto questo sistema che tende alla crescita illimitata sia conciliabile con una più equa e giusta suddivisione delle risorse. La realtà dei fatti ci dice che le azioni tese a migliorare le condizioni dei cittadini, da parte delle imprese, sono ben poche, per lo più contenute all’interno di iniziative di beneficenza e iniziative di marketing sociale strategico. Esse molto spesso sono rivolte alle popolazioni locali per guadagnare il consenso e l’approvazione delle comunità circostanti e conferire una valenza positiva allo sfruttamento minerario delle multinazionali straniere. Come possono queste ultime far credere di voler combattere la povertà quando le condizioni ed i fattori che ne determinano l’esistenza e ne favoriscono la crescita contribuiscono a generare povertà e miseria?
Il settore minerario zambiano contribuisce per circa per il 70% agli introiti derivanti dagli scambi commerciali con l’estero(20). In questo ambito il rame rappresenta una grossa fetta delle esportazioni, ma è una risorsa in via di diminuzione. Data la natura ciclica dell’incremento di valore delle materie prime si teme di dover rinunciare all’ultima opportunità che lo Zambia ha di utilizzare le proprie risorse per far riprendere e sviluppare il paese. Nel momento in cui il prezzo del rame inizierà nuovamente a scendere, l’economia zambiana incontrerà molte difficoltà nel sorreggersi e la crisi passata potrebbe ripresentarsi alla porta.
Nonostante si affermi che l’età del dominio coloniale si sia ufficialmente conclusa nella seconda metà del XX secolo, appare evidente che l’influenza dominante di alcuni Stati e, nell’ultimo secolo, soprattutto di imprese multinazionali, a tutt’oggi assuma nuove forme più subdole e cangianti. Una sorta di neocolonialismo economico. Sembra che oggi, come ieri, le catene che tengono legata l`Africa più povera non accennino a spezzarsi. Tutto questo nonostante su tutti i tagli delle banconote zambiane compaia la “Freedom Statue”(21) che ritrae un uomo con le braccia al cielo che spezza le catene del colonialismo. C’è da chiedersi quanta di quella libertà sia realmente stata conquistata dai cittadini zambiani.

Note:

1. Tratti dal Report “For whom the wind falls? Winners & losers in the privatisation of Zambia’s copper mines” (2007) di Alastair Fraser & John Lungu, pubblicato da Civil Society Trade Network of Zambia (CSNTZ) e Catholic Commission for Justice, Development and Peace (CCJDP), consultabile al sito: http://www.minewatchzambia.com/reports/report.pdf
2. Fergusson, 1999, p.6.
3. Esempio del dominio commerciale dei prodotti sudafricani è rappresentato dalla catena di supermercati Shoprite diffusi nella gran parte delle città zambiane. Al loro interno trovano posto soprattutto i prodotti dei maggiori fornitori stranieri e persino nel reparto ortofrutta, molti prodotti sono paradossalmente d’importazione. Ciò a testimonianza del fatto che i piccoli produttori locali non possono competere con i prodotti stranieri o semplicemente accedere ai canali di distribuzione su scala nazionale o globale.
4. Negli stati più poveri, aperti al modello di crescita illimitata di matrice occidentale, gli ambiziosi obiettivi che sul piano sociale si continuano a fissare, di volta in volta disattesi, sono mere illusioni perché inconciliabili con la sopravvivenza del sistema economico stesso.
5. Secondo i dati del WHO nel 2006 l’aspettativa di vita alla nascita sarebbe scesa sotto i 40 anni; secondo l’Indice di Sviluppo Umano (2003) lo Zambia è al 13° posto fra i paesi più poveri al mondo.
6. I “Development Agreements” sono consultabili al sito: http://www.minewatchzambia.com
7. Nei cinque anni seguenti al 1995 l’occupazione nelle miniere si dimezzò passando da 45.000 a 22.000. Questo numero successivamente ha avuto un leggero incremento giungendo a 31.000 nel 2004. Cf. Chamber of Mines of Zambia, Survey of the Zambia Mining Industry 1995-2004, ottobre 2005.
8. Un crescente numero di questi nuovi diseredati prodotti dal capitalismo odierno sta ora vivendo e coltivando in terre occupate abusivamente, di proprietà delle miniere, sulle quali imperversa il continuo rischio di espropriazioni, precarietà, esplosioni ed inquinamento.
9. Dati tratti dal Report For whom the wind falls? Winners & losers in the privatisation of Zambia’s copper mines (2007) di Alastair Fraser & John Lungu, pubblicato da Civil Society Trade Network of Zambia (CSNTZ) e Catholic Commission for Justice, Development and Peace (CCJDP), consultabile al sito: http://www.minewatchzambia.com/reports/report.pdf
10. L’ “Investment Act” è consultabile al sito: http://www.zamlii.ac.zm/acts/1993/invest93.htm
11. Il “Mines and Minerals Act” è consultabile al sito: http://faolex.fao.org/docs/texts/zam46304.doc
12. Cf. Draft Environmrntal Impact Statement. Appendix Q: Socio-Economic Report. Scaricabile dal sito dell’ ECZ (Environmental Council of Zambia), ottobre 2006.
13. In alcuni casi le assunzioni sono state affidate in appalto a compagnie che pagano meno della metà del salario mensile, per lo stesso lavoro e nella stessa miniera, offerto ad un lavoratore permanente.
14. Il rame si trova nel sottosuolo per lo più sotto forma di minerali solforati. Questi necessitano di una certa lavorazione prima dell’ottenimento del metallo puro. Il ciclo produttivo si compone di due fasi: a) il trattamento dei minerali grezzi: comprende la frantumazione delle rocce, l’emulsione delle polveri con dei liquidi ed infine l’asciugatura e concentrazione dei fanghi ottenuti; b) l’affinaggio: attraverso dei forni si procede con la raffinazione termica. Il rame successivamente viene fuso e versato in degli stampi per ricavarne delle lastre uniformi. Per ottenere la massima purezza del rame è necessario fare una ulteriore passaggio, la “raffinazione elettrolitica”. Si ottiene così una materia prima il cui prezzo è definito dalle valutazioni della principale borsa mondiale per i metalli non ferrosi: il London Metal Exchange (http://www.lme.com/home.asp).
Durante il processo di estrazione, concentrazione e fusione del metallo si ha il maggiore impatto sull’ambiente circostante in termini di contaminazione ed inquinamento (Da: Global Production Chains: Northern Consumers, Southern Producers and Sustainability. Copper from Zambia by Christopher Mupimpila e Nicolien Van Der Grijp, prepared for United Nations Environment Programme).
Al momento la maggior parte del minerale estratto è concentrato e fuso in prossimità delle miniere, per ottenere delle lastre di rame più facilmente trasportabili e quindi esportabili. Ciò comunque non vale per tutte le miniere: ad esempio la Chambishi Mines non ha alcuna struttura per procedere alla fusione e raffinazione del metallo. Per far ciò deve esportare il minerale concentrato in Namibia. Per far fronte a questo in Zambia si sta procedendo alla costruzione di nuovi “smelters”, ossia strutture per la fusione del rame (Dal Report “For whom the wind falls? Winners & losers in the privatisation of Zambia’s copper mines” (2007) di Alastair Fraser & John Lungu, 2007). Comunque una politica industriale per il paese dovrebbe mirare non solo a promuovere ed a sostenere l’attività di fusione e raffinazione del rame ma anche alla realizzazione di prodotti finiti, come conduttori elettrici, utensili e componenti vari, ottenuti dalla lavorazione del minerale stesso (prodotti realizzati quasi esclusivamente nelle industre dei più ricchi paesi importatori del rame raffinato).
15. Da quando una larga fetta delle già magre risorse dello Stato è stata indirizzata alla BM ed al FMI come pagamento del prestito e dei debiti di servizio, e da quando i Development Agreements, mediati dalla BM e dal FMI, permettono alle compagnie di indirizzare poche entrate verso le casse dello Stato, questo esito sarebbe stato prevedibile, non ultimo dalla BM e dal FMI stesso.
16. Secondo i dati dell’UNAIDS/WHO: un adulto su sei vive con l’Hiv; 98.000 sono state le vittime dell’AIDS nel 2005 ed oltre 710.000 bambini sono orfani dell’AIDS (Report on the global AIDS epidemic, 2006).
17. I diritti minerari, una tassa sul reddito ottenuto dalle vendite, sono passati quest’anno dallo 0.6% al 3%. Essi rappresentano una sorta di risarcimento dovuta al Governo per il fatto che l’impresa ha rimosso dal suolo e venduto una materia prima che è riconosciuta appartenere intimamente ad ogni cittadino Zambiano. Peccato che questa tassa sia poca cosa rispetto agli enormi profitti che negli ultimi anni stanno conseguendo le imprese. Inoltre non è presente una tassa sugli extraprofitti da molti invocata (windfall tax), ovvero sui profitti in eccesso per un certo ammontare conseguiti dalle compagnie minerarie per via dell’enorme incremento del prezzo del rame negli ultimi anni.
18. Foreign Investments and Advisory Service (FIAS), Zambia: Sectoral Study Of Tha Effective Tax Burden, a joint service of the International Finance Corporation and the World Bank, dicembre 2004.
19. Il progresso tecnologico e dunque la produttività hanno raggiunto livelli tali che una minoranza è in grado di produrre tutto ciò di cui abbisognano le economie mondiali. Lo Zambia, come molti altri paesi in via di sviluppo, sono incapaci di prendere parte a questo banchetto perché non sufficientemente efficienti e competitivi.
20. International Monetary Fund. Country Report No. 07/276, Zambia: Fifth Country Development Plan, August 2007, p.79
21. Statua situata a Lusaka, capitale dello Zambia, dedicata alle vittime della lotta per l’indipendenza.

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