Editoriali

Don Milani riabilitato dalla chiesa come prete e maestro di giovani poveri

L’obiezione come paradigma dell’assunzione di responsabilità di fronte alle scelte da fare nella vita, per cui ognuno deve agire come se si sentisse responsabile di tutto, in sintonia con la propria coscienza: questo il messaggio ancora attuale del maestro che, in un momento in cui i figli dei contadini erano considerati estranei alla scuola e alla cultura, scelse i poveri e li rese coscienti della loro dignità.

Scritto da P. Angelo Cavagna (Presidente del Gavci (Gruppo Autonomo di Volontariato Civile Italia*))

“ANNIVERSARIO. Provocatorio e critico, fu scomodo a molti; ma ormai la Chiesa ha accolto il messaggio del Priore morto 40 anni fa. L’eredità di don Milani”.
Si apre con il bellissimo editoriale di Diego Cipriani. Direttore generale dell’Ufficio nazionale per il servizio civile, che parla di “Servizio Civile, La Spinta Venuta Da Barbiana”.
Al riguardo, mi limito a citare il passo centrale: “Il messaggio del Priore di Barbiana resta con la sua straordinaria attualità. Come lui stesso dichiarò, a don Milani non importava tanto l’obiezione al servizio militare in sé, quanto piuttosto il rapporto tra la persona e la legge, tra la responsabilità individuale e il contributo personale alla costruzione del bene comune e della pace. L’obiezione, insomma, come paradigma dell’assunzione di responsabilità di fronte alle scelte da fare nella vita, seguendo il motto milaniano (di evidente attualità) per il quale ognuno deve agire come se si sentisse responsabile di tutto, in sintonia con la propria coscienza. Una coscienza non narcotizzata né addomesticata, ma maturata nella consapevolezza del cittadino non più suddito, ma sovrano. Questa, in sintesi, la lezione che don Milani continua a dare ai giovani”.

Un fatto che non tutti oggi considerano, è che allora i figli dei contadini e i poveri in genere erano considerati estranei alla scuola e alla cultura. Don Milani, al contrario, si dedicava principalmente a loro: leggeva i giornali con loro e li commentavano insieme.
L’articolo centrale della pagina di Avvenire, a firma di Giovanni Gennari, mette bene in rilievo questo aspetto, dopo aver delineato i tratti centrali della maturazione umana e cristiana del personaggio. Nasce nel 1923, studia, fa l’artista, conosce il mondo, a 20 anni trova Cristo e decide di entrare in seminario per farsi prete, ma avverte la madre solo la sera prima, sedendosi a cena: <>. Lasciava senza fiato. Unicamente prete: anche maestro, indagatore di fenomeni sociali, catechista, provocatore si, ma da prete. E prete della Chiesa cattolica, fiorentina, orgoglioso di esserlo.
Scelse i poveri e li rese coscienti della loro dignità: uomini e figli di Dio. Maestro a Calenzano, fa una scuola strana e disturbava tanti. A 31 anni lo mandano in un paesino sperduto tra le montagne. Obbedisce e insiste: prete per tutti e maestro per i ragazzi: 365 giorni all’anno, 12 ore al giorno. Il contenuto e la metodologia di tutto questo lavoro per e con i ragazzi si trovano condensati nella “Lettera ad una professoressa”, che in realtà è un libro, tra i più famosi.
Pubblica anche un altro libro che racconta le “Esperienze pastorali” di Calenzano: analisi sociali, prospettive antropologiche, ipotesi di catechesi, riflessioni pastorali. In pratica: la sua mentalità ed esperienza di prete.
Il libro viene stroncato da riviste cattoliche e viene ritirato per ordine dell’allora Sant’Uffizio. Lui con i ragazzi continua a vivere, parlare, scrivere e testimoniare. E’ irritato da chi cerca di utilizzarlo per dir male della sua Chiesa, cui nella fede ubbidisce. Sta con i poveri, ma ammonisce per tutti che il Vangelo ha l’ultima parola di beatitudine per la povertà nello Spirito Santo. Critico e autocritico, rigoroso con sé prima che con gli altri, tutto donato a Dio attraverso i suoi ragazzi… fino alla fine, che arriva il 26 giugno 1967.
L’articolista di Avvenire nota che c’è chi chiede di riabilitare don Milani; ma risponde che due vescovi di Firenze, Piovanelli e Antonelli (cardinali) hanno detto più volte e dimostrato con i fatti quanto ancora oggi don Lorenzo Milani sia attuale. Chiarisce anche la posizione inizialmente dura del papa Giovanni XXIII ancora patriarca di Venezia. Ma poi, a detta di mons. Capovilla, mutò parere. Giovanni Battista Montini, invece, ebbe sempre una considerazione positiva della personalità di don Milani e anche da papa (Paolo VI) lo amava e aiutava, ragion per cui gli fu sempre gratissimo.

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