Albania Caschi Bianchi

Un sogno chiamato Italia

Poche ore di viaggio per raggiungere un luogo vicino nello spazio ma lontanissimo, e vedere con i propri occhi la verità al di là del mare.

Scritto da Simone Pasin

“Può andare fiero perché non ha vissuto invano
solo colui che ha parlato sempre
il linguaggio della verità” (Socrate)

Mi ha guardato sorridendo, “Voglio andare in Italia” mi ha detto.
Il volto limpido, gli occhi lucidi, era l’emblema della spensieratezza, non aveva ancora 10 anni e portava vestiti semplici, consumati dal tempo.
Conosceva poche parole di quella lingua straniera, ma con esse mi fece capire almeno tutti i suoi sogni, tutte le sue speranze. Mi guardava sorridendo e mi chiedevo cosa un bambino potesse conoscere dell’Italia, non avrebbe saputo dirmi nemmeno la capitale, forse non aveva mai visto una foto, una cartolina, ma nella sua innocenza, era semplicemente la voce, l’espressione del pensiero di questa gente, che è costretta per inseguire una speranza a fuggire dalla sua terra, l’Albania.
Ero partito, un’ora e un quarto di volo da Malpensa, il tempo che ci si impiega ad attraversare il Mar Tirreno ed arrivare in Spagna, solo che scelsi un’altra direzione, avevo oltreppassato l’Adriatico e ero atterrato a Tirana.
Un’ora e un quarto di volo mi era bastata per ritrovarmi in un mondo lontano, un mondo di cui non conoscevo nulla, nemmeno un briciolo di verità.
Avevo visto alla televisione immagini di uomini e donne che approdavano sulle coste pugliesi su vecchie navi arrugginite o gommoni carichi, inseguiti dalle motovedette della guardia costiera, schedati e marchiati come clandestini.
I molteplici servizi e la loro quadrata impostazione hanno fatto apparire questi sbarchi come una sorta di invasione barbarica da monitorare, e hanno fatto nascere nel pensiero comune uno stato di allerta verso questi immigrati, la paura che importino la loro cultura, che ci rubino il lavoro, che ci privino del nostro benessere.
Numerosi telegiornali sono stati riempiti di immagini e parole senza mai un’intervista a questa gente che ha lasciato la sua terra, i suoi affetti, senza mai un accenno, senza mai far sorgere un dubbio; nessun giornalista ha mai raccontato cosa c’è al di là del mare.
Ci si chiede “Cosa sono venuti a fare?” e mai “Perché sono venuti via?”
La differenza sembra irrilevante, sembra puramente un gioco di parole e invece si maschera dietro a una domanda l’egoismo di chi non riesce a mettersi in ascolto davanti ad un grido d’aiuto.
Apro gli occhi al di là del mare e resto incredulo pensando che siamo alle porte dell’Unione Europea.
La situazione socioeconomica di questa piccola repubblica, uscita da decenni di dittatura, è disastrosa; la disoccupazione ha numeri devastanti e la corruzione dilaga.
Beni di primaria importanza come l’istruzione e i servizi sanitari non sono tutelati e accessibili a tutti, la percentuale di persone che vivono sotto la soglia di povertà di un dollaro al giorno è paragonabile a quella dei Paesi del sud del mondo e il processo di urbanizzazione sta facendo nascere nella periferia di Tirana vere e proprie baraccopoli.
L’automobile è un bene di lusso che pochi si possono permettere e l’energia elettrica viene tolta alla maggior parte del Paese nelle ore diurne.
La legge del kanun, un’insieme di testi del 1400 che regolano la vita pubblica e privata, è tuttora praticata e la violenza domestica è diffusa, trova spazio e si alimenta là dove c’è povertà.
Apro gli occhi e in tanta sofferenza, trovo il sogno di un bambino nel viaggio che porta in Italia.
Di fronte a quel sorriso non riesco a pensare che quel viaggio è pieno di insidie, che molti prima di lui già ci hanno provato e, non trovando lavoro senza alcun appoggio, sono finiti nella delinquenza.
Penso soltanto a quanti affermano che la vita è dura anche in Italia perché non conoscono la verità, la verità che sta al di là del mare.

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