Dieci anni fa, a diciott’anni, portavo alla maturità una tesina dal titolo RADICI – Legami e vincoli dell’umanità, nel tentativo di rispondere al seguente interrogativo: Cosa sono le radici, un’ancora di salvezza a cui tenersi appigliati in caso di burrasca o resistenti catene d’acciaio che ci tengono legati a qualcosa anche quando vorremmo volar via?
Mi fa sorridere ripensare alla me di allora, che tentava disperatamente di mettere ordine con la razionalità al caos dei suoi sogni, bisogni, emozioni e insicurezze, che aveva tutta una vita davanti, eppure si sentiva già intrappolata in una gabbia che si era costruita da sola e non sapeva come scrollarsi di dosso. La dissertazione sulle radici parlava, senza saperlo, di questo disagio e si concludeva senza una reale risposta, perché lei ancora non l’aveva trovata.
Oggi, dieci anni dopo, sono ancora lontana dall’aver conseguito risposte a tutti gli interrogativi sulla mia vita, ma la novità sorprendente è che mi va bene così. Ho imparato che ogni cosa ha un suo tempo e che spesso stare nell’incertezza è una fatica enorme, ma è necessario.
Senza sapere molto, ma avendo finalmente imparato ad ascoltare i miei bi-sogni (interessante come la parola bisogno contenga due volte il sogno, no?) un anno fa ho lasciato tutto e sono partita per un anno di Servizio Civile Universale in Cile. Questo credevo, almeno, ma la verità è che non ho lasciato niente. Incredibilmente, tutto è ancora lì. Il mondo prosegue con la sua esistenza anche senza di me, mentre il mio mondo interno, relazionale ed esperienziale, me lo sono portata dietro e dentro di me e così facendo è cresciuto, si è espanso.
Non ero alla ricerca di nulla in particolare e allo stesso tempo di tutto, volevo fare della mia vita un grumo di felicità, avventura, servizio e conoscenza.
Quello che non immaginavo è che non solo quest’anno alla fine si sarebbe rivelato il più bello della mia vita, con la pienezza e l’intensità che solamente le prime volte sanno regalarti, ma che sorprendentemente sarei anche riuscita a dare risposta a quel quesito che mi ero posta anni fa davanti ad una commissione d’esame, pronta (così a me pareva) a spiccare il volo nel mondo degli adulti. Cosa sono le radici. Le radici non sono altro che un prolungamento della tua identità, nascono dal tuo seme, dal tuo nucleo esistenziale, e crescono espandendosi ovunque trovino spazio e nutrimento, a volte in profondità, altre in estensione… dipende. Da che? Dipende dal terreno di cui si nutrono. È arido? Crescono poco, bisogna avere pazienza. Fertile? Il tuo albero cresce, si ramifica, aumenta la sua resistenza e solidità. Talvolta le radici si fanno così spesse e forti da spezzare l’asfalto che le costringe, addirittura riescono a tenerti in piedi nonostante le intemperie, il cambio climatico, le malattie. C’è una cosa che le radici, però, non smettono mai di fare: nutrire.
Incredibilmente, a diciott’anni quest’aspetto in particolare mi sfuggiva, o forse l’avevo dato per scontato. Non lo è.
Ciò che lascio e ciò che porto via da qui coincidono: sono radici. Sono radici forti e felici, piene di amore e di gratitudine per tutto ciò che quest’esperienza mi ha regalato, che poi alla fine sono storie e sono persone, perché io senza le storie e le persone non ci sò stare, sono il mio fertilizzante naturale.
Eso que tú me das es mucho más de lo que pido
Todo lo que me das es lo que ahora necesito
Eso que tú me das no creo lo tenga merecido
Todo lo que me das te estaré siempre agradecido
Así que gracias por estar
Por tu amistad y compañía
Eres lo, lo mejor que me ha dado la vida
(Eso que tú me das – Jarabe de Palo)
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