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Salfit: quando l’occupazione militare è un business

Cb Apg23, 2007
Cb Apg23, 2007
La colonizzazione da parte israeliana della piccola città nel nord della Cisgiordania, zona ricca di acqua e di risorse, rappresenta un caso emblematico: dietro all’occupazione militare si cela un giro di milioni di shekels.

Quando si visita per la prima volta Salfit, si ha immediatamente l’impressione che ci sia qualcosa di sbagliato. Forse è la torretta militare in cima alla collina che domina la città, che dà l’impressione ci sia sempre qualcuno che ti sta guardando, o forse è la vicinanza dell’insediamento israeliano di Ariel, con i suoi tetti rossi, così vicino a Salfit, eppure così diverso delle case di pietre bianche palestinesi. 

Cb Apg23, 2007

Salfit è una città piccola, con una popolazione di soli 9.750 abitanti, mentre il Distretto nel totale ha una popolazione di 70.000 abitanti. La città è situata al centro della Cisgiordania, a lato di una lunga valle, a metà strada fra Nablus e Ramallah. L’agricoltura è un settore importante dell’economia, ed in particolare la coltura delle olive e dell’uva, così come le mele e le mandorle. Tutto questo conferisce al paesaggio il carattere tipico della Cisgiordania, con grandi campi coltivati divisi soltanto da piccoli muretti di pietra.

Salfit è una delle città del nord Cisgiordania più toccate dalla presenza degli insediamenti di coloni israeliani nei Territori Palestinesi Occupati (OPT). Ariel, il più grande insediamento in tutta la Cisgiordania è costruito, insieme ad altre 16 colonie, sulla terra di Salfit, con una popolazione totale di circa 40.000 coloni. La presenza di questi insediamenti interessa la zona, oltre che per la confisca delle terre per sviluppare l’insediamento, anche per il percorso del muro di separazione, costruito proprio per “proteggere” gli insediamenti dalla popolazione palestinese locale.

Cb Apg23, 2007

Nella zona di Salfit il muro procede serpeggiando all’interno della linea verde nel territorio palestinese per oltre 15 chilometri. Le zone che il muro separa dai territori palestinesi includono l’insediamento di Ariel, oltre alle zone industriali di Barkan e di Zahav. La città di Salfit, inoltre è situata nella regione più ricca d’acqua dell’intera Cisgiordania. L’acqua non era mai stata un problema per la popolazione della zona prima dell’arrivo dei coloni, ma tutto è cambiato con l’istituzione dell’insediamento a seguito della guerra del 1967. 

Sedici pozzi artesiani sono stati confiscati da allora poiché i rifornimenti idrici sono stati riorientati, per varie miglia, per arrivare ad Israele e fornire l’acqua dei pozzi ai coloni di Ariel. Gli israeliani ed i coloni consumano cinque volte più acqua dei Palestinesi locali, tuttavia i Palestinesi la pagano ad un prezzo che è il 300% in più. I villaggi vicini di Kifr Al-Dik e di Bruqin sono costantemente in insufficenza idrica e spesso senza acqua affatto, poichè le risorse sono usate dai coloni.

La strada che conduce ai due villaggi non è pavimentata; è piena di buchi e di curve. La strada principale precedente, asfaltata e veloce, proveniente dal nord del Distretto, è ora all’interno della zona “di sicurezza”, presa da Israele, sotto controllo dei militari israeliani e riservata ad uso dei coloni che vivono là. L’unica strada disponibile per i Palestinesi adesso è questa strada non Palestina. 
asfalatata né battuta, che percorre la zona agricola di Salfit per quasi 15 chilometri, portando ad almeno 20-30 minuti un viaggio che prima ne durava cinque, ed aggiungendo un’altra frustrazione alla vita quotidiana dei civili palestinesi che vivono nella zona.

Cb Apg23, 2007

È precisamente percorrendo questa strada 

che diventa chiaro che cosa c’è di sbagliato.

È l’odore: un odore nauseante di acque di scarico.

Questa sensazione è confermata quando

si osserva alla destra della strada, dove sembra

esserci un fiume. Ed è un fiume, ma non un fiume

naturale di acqua che sgorga dalle falde freatiche sotterranee,

di cui il distretto di Salfit è pieno.

Questo è un fiume di acque di scarico, una fogna

a cielo aperto, proveniente direttamente

dall’insediamento di Ariel e dalla zona industriale di Barkan.

Per gli scorsi nove anni, il comune ha provato

a costruire un impianto di depurazione per

le acque di scarico dei residenti palestinesi.

L’impianto doveva essere costruito sulla terra

del distretto di Salfit, a 13 chilometri dalla città.

Il comune ha ricevuto una donazione di 22 milioni

di shekels dal governo tedesco per costruire

l’impianto ed un tubo di collegamento alla città, ma i militari israeliani hanno fermato la costruzione ed hanno sequestrato l’apparecchiatura, poichè questa avrebbe potuto interferire con gli insediamenti israeliani vicini.
L’apparecchiatura è stata restituita circa 18 mesi dopo. Di conseguenza, il comune ha dovuto farsi fare un prestito per comprare dell’altra terra, otto chilometri più vicino alla città, ed un prestito ulteriore di 2 milioni per risistemare le tubature ed i cavi elettrici. Comunque, anche se l’autorità civile israeliana ha approvato la locazione del nuovo impianto, il muro di separazione previsto nella Cisgiordania separerà Salfit dal suo impianto di depurazione, che allora sarà, molto probabilmente, oggetto di confisca da parte dei coloni israeliani. 

La situazione attuale, secondo l’agenzia delle NU OCHA, è la seguente: Israele ha costruito un impianto di depurazione per l’insediamento di Ariel, capace di depurare circa 0.95 milioni di metri cubici di acque di scarico ogni anno, mentre i coloni ne producono 2.27 milioni, lasciando quindi 1.32 milioni di metri cubici di acque di scarico non trattate, circa il 78% della produzione di acqua non trattata totale, che quindi scolano diritti nella valle vicina Al-Matwi.

Questa valle, oltre che la valle di Wadi Qana, ospita inoltre le circa 80 fabbriche della zona industriale di Barkan, produttrici di prodotti chimici, plastica ed olio, con un’uscita di 0.81 milioni di metri cubici di acque di scarico all’anno. Tutte queste acque di scarico, convergendo, hanno formato un fiume nella zona, che scorre dall’insediamento di Ariel, verso la linea verde, passando attraverso il terreno agricolo ed i villaggi di Kifr Al-Dik e di Bruqin.

Quest’acqua, oltre che essere la causa dell’odore nauseante che si spande per l’intera valle, ha contaminato la pompa dell’acqua che fornisce il 25% dell’acqua potabile del Distretto, situata nella stessa zona. Il ministero della sanità palestinese ha avvertito la popolazione del distretto di Salfit di non usare l’acqua, anche per gli animali, ed ha provato a risolvere il problema aggiungendo più cloro. Di conseguenza, entrambe le pompe della zona, chiamate Al-Matwi e Shamiyeh, sono contaminate ed i comuni dei villaggi devono comprare la loro acqua dall’azienda israeliana, Mekorot, pagando quasi cinque volte il prezzo dell’acqua locale. 

Il problema delle acque di scarico, tuttavia, è collegato non soltanto all’acqua potabile e alle pompe. Infatti, la zona dove il fiume si è formato è l’unico posto dove i pastori locali possono portare i loro animali. Camminando lungo la strada dalla città ai villaggi, è frequente vedere mucche, pecore e capre dei pastori locali che bevono l’acqua del fiume chimico e mangiano sull’erba che cresce sulla riva fertile. In più, mentre il fiume serpeggia attraverso il terreno agricolo, le radici degli alberi delle vigne, degli uliveti e degli alberi di mela si nutrono nelle acque sporche che filtrano attraverso la terra. Di conseguenza, oltre che acqua contaminata, la popolazione della zona si ritrova ad oggi con carne, latte frutta e verdure contaminate.

I due villaggi di Kifr Al-Dik e di Bruqin sono villaggi poveri e piccoli. Il loro reddito proviene quasi esclusivamente dalla terra e dagli animali, ora che i permessi per andare a lavorare in Israele sono difficilmente ottenibili . Il fatto che l’acqua sia contaminata però paradossalmente non ha cambiato il comportamento della popolazione dei villaggi: la scelta che queste persona hanno dovuto prendere è quella fra consumare cibo ed acqua contaminati, oppure decidere di comprare solo prodotti provenienti da fuori, e quindi abbandonare la coltura e la vendita, ed in questo modo non avere più soldi con cui comprare l’acqua o il cibo “puliti”.

Percorrendo la riva del ruscello mi imbatto in un bambino che sta pascolando le sue mucche. Io gli chiedo se lui beve il loro latte e com’è. Mi sorride e mi dice che è buonissimo “Saki, saki!”..io allora gli spiego che l’acqua è contaminata e che non dovrebbe portare li le sue mucche, ma lui mi dice “ma figurati il mio latte è buonissimo, e poi se devo morire meglio morire per una malattia che non di fame”.

Secondo le statistiche del ministero della sanità palestinese, il risultato di questa situazione è che circa il 70% dei malati di cancro nel distretto di Salfit proviene da questa zona vicino al fiume ed al complesso industriale israeliano. Inoltre, c’è stato un incremento di casi di malattie contagiose della pelle, dovute alla grande concentrazione di zanzare nelle vicinanze delle fabbriche e nei posti in cui le acque sporche vengono scaricate, oltre che numerosi casi documentati di malattie contagiose, alcune delle quali causano problemi al sangue. A livelli molto elevati anche i casi di epatite A e di epatite B nella popolazione locale. 

Ad aggiungersi a questa già difficile situazione, il fiume tossico ha portato alla morte ed alla rovina degli alberi e dei raccolti situati nella sue vicinanze immediate. Il primo ad avantaggiarsi in questa situazione è Mekorot, un’azienda israeliana, l’unica che vende acqua negli OPT. Un altro vantaggio a favore di Israele è che, sottraendo l’acqua palestinese, gli insediamenti non devono comprarla e neppure devono pagare il costoso trattamento per le acque di scarico che producono. Ancora, i produttori chimici e le fabbriche che provocano danni ambientali, ritenute quindi pericolose in Israele, ora hanno trovato un posto dove possono continuare a funzionare, i Territori Palestinesi Occupati, nei quali non ci sono regole da seguire, poichè le leggi israeliane non valgono.

L’occupazione dei territori palestinesi distrugge non soltanto la libertà dei Palestinesi, o la terra, ma anche l’aria, l’acqua e il cibo. L’esistenza di qualcosa come i “diritti umani fondamentali ” in questo posto assume le fattezze di un sogno, mentre l’occupazione rivela la sua vera faccia, la faccia di un commercio di milioni di shekels. Questa sembra essere una spiegazione all’espansione continua ed alla politica di occupazione continua delle colonie, molto più plausibile di tutte le giustificazioni religiose finora offerte.

Cb Apg23, 2007
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